di Francesca RUSSO George Orwell è sempre stato un sincero socialista, come testimoniano la sua vita e la passione con cui ha difeso le proprie idee. Orwell ha combattuto con la stessa onestà intellettuale tanto le aberrazioni del capitalismo e l'ipocrisia borghese quanto la tirannide stalinista, rapida e sanguinaria degenerazione degli entusiasmi rivoluzionari. Il socialismo, con i suoi ideali di uguaglianza ed emancipazione, aveva promesso grandi speranze alle oppresse classi lavoratrici ma certi aspetti dell'esperienza sovietica avevano creato delusioni e perplessità.
Da questa ambivalenza è stata ispirata "La fattoria degli animali", opera che ha procurato molte ostilità al suo autore. Orwell ha reagito con decisione alla propaganda denigratoria, poiché è ancora convinto della bontà dei principi del socialismo, tuttavia è altrettanto convinto che sia necessario liberarlo dai rischi insiti dell'eccessivo burocratismo e tutelarlo dal dogmatismo e dall'utopismo. La convinzione di sostenere un socialismo che fosse davvero a misura d'uomo ha ispirato il suo libro più famoso, che si inserisce nella tradizione inglese dell'apologo satirico che trova in Mandeville, in Swift, in Wilde, raffinati e sarcastici predecessori, che per amore di paradossale verità hanno sfidato la morale corrente.
Orwell è uno spirito critico e anticonformista non solo nella società in senso lato ma anche e soprattutto nel socialismo di cui era un appassionato militante. Ed è qui che si inserisce "La fattoria degli animali", un libro nel quale, sotto le vesti brillanti della favola, lo scrittore ha espresso l'amore per gli umili e l'odio per coloro che, spinti da avidità di denaro e di potere, ne tradiscono la fiducia e gli ideali. Orwell aveva cominciato a scrivere il libro nel 1943 e da subito aveva colto diverse difficoltà per la pubblicazione; infatti, ha incontrato il rifiuto di un editore perché ritenuto poco opportuno visto il momento storico, in cui la Gran Bretagna non poteva permettersi incidenti diplomatici con Stalin.
Alla fine, Orwell ha pubblicato il suo libro presso una piccola stamperia semisconosciuta. La travagliata vicenda editoriale testimonia la forza, la sincerità e quindi la pericolosità dell'apologo, in una fase storica tragicamente complicata in cui l'esercito britannico combatteva gli stessi nemici dell'Armata rossa. I "maiali" descritti da Orwell pertanto non sono stati graditi dall'establishment intellettuale e politico inglese che li aveva trovati inopportuni, offensivi e pericolosi. Orwell aveva visto molto bene e, in maniera lucida e efficace, ha reso perfettamente la trasformazione che la società russa aveva subito dopo qualche decennio della Rivoluzione russa del 1917, un evidente voltafaccia dei grandi ideali di uguaglianza che l'avevano ispirata, descrizione incresciosa per i socialisti e i comunisti di ogni nazione che a quella realtà guardavano come modello indiscusso.
Il libro, come molti altri, ha trovato motivazioni e argomento, nonché la sua fortuna, nel contingente momento in cui è stato pensato e scritto, tuttavia mantiene una sua universalità di contenuti, una sua finezza nel tratteggiare la nobiltà e la bassezza dell'animo umano, la generosità e la meschinità che spingono all'impegno politico, che ne fanno un classico valido come bussola anche per le vicende nazionali e locali, fortunatamente per noi meno drammatiche, a cui siamo assistendo da spettatori disincantati.
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com