"Teatro amore mio", "Miseria e nobiltà" di Eduardo Scarpetta

E’ la commedia capolavoro del teatro comico e rappresenta l'eterna metafora della condizione umana

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
29 Giugno 2022 11:37

E’ la commedia capolavoro del teatro comico scritta nel 1887 in napoletano da Eduardo Scarpetta, il più importante attore e autore del teatro partenopeo tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, capostipite della dinastia teatrale degli Scarpetta-De Filippo.

Ciò che ho voluto sottolineare è la fame e la miseria, di cui si racconta con comicità nella commedia che sono l’anticipazione della disperata emigrazione delle genti del Sud Italia verso le Americhe in cerca di lavoro”, ha sottolineato Luigi De Filippo in una intervista. 

Ed è, infatti, la fame, la protagonista di Miseria e nobiltà, “I tengo famma, i tengo famma!”, che non è solo fame di cibo ma di lavoro, di sopravvivenza e di giustizia, una privazione purtroppo sempre attuale, allora come adesso. 

Emblematico in questo senso il finale del primo atto, reso famoso dal film omonimo di Mario Mattoli del 1954 con Totò: tutti in scena siedono avviliti, perché ogni tentativo di procurarsi da mangiare è fallito; improvvisamente sulle note del Bolero di Ravel avanzano uno sguattero e un facchino che portano una grande stufa. 

Senza parlare, si avvicinano alla tavola, e posano a terra, ai piedi di Felice, la stufa. Il facchino va via ma poi torna con due fiaschi di vino. Lo sguattero scopre la stufa, tira fuori una grossa zuppiera di maccheroni, poi dei polli, del pesce, due grossi pezzi di pane, tovaglioli e posate, mentre il facchino pone sulla tavola i due fiaschi di vino. 

Lo sguattero e lo stesso facchino riprendono poi la stufa vuota, arrivano sotto la porta in fondo alla scena, si voltano salutando con un cenno della testa, e vanno via. Pasquale, Concetta, Pupella, Luisella e Felice si avvicinano alla tavola. Poi si alzano di botto, e, tutti in piedi intorno alla tavola, si slanciano con grande avidità sui maccheroni fumanti, divorandoli e abbracciandoli con le mani. La fame è saziata.

La storia è semplice: il giovane nobile Eugenio ama la ballerina Gemma, figlia di Gaetano, un cuoco arricchito. Il ragazzo è però ostacolato dal padre, il marchese Favetti, che è contro il matrimonio del figlio perché Gemma è figlia di un cuoco.

Eugenio si rivolge quindi allo scrivano Felice per trovare una soluzione. Felice e Pasquale, altro spiantato, con le rispettive famiglie, s’introdurranno a casa del cuoco fingendosi i parenti nobili di Eugenio. La situazione s’ingarbuglia poiché anche il vero Marchese Favetti è innamorato della ragazza, al punto di frequentarne la casa sotto le mentite spoglie di Don Bebè. 

Il figlio, che lo aveva scoperto e minacciato di rivelare la verità, lo costringerà a dare il suo consenso per le nozze. 

Va bene, per il piacere che ho maritata mia figlia, vi sposerete anche voi”.

La commedia è molto comica ma anche sottilmente amara, a detta della critica “degna della firma di Moliére”.

La tradizione è il nostro passato, ma è un passato che insegna”, è stato il motto del grande attore napoletano. 

Da Miseria e Nobiltà è stato tratto un film del 1954 diretto da Mario Mattioli con un grande Totò, Dolores Palumbo, Sofia Loren e tanti altri attori e attrici.

Salvatore Giacalone 

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