Sette anni fa ci lasciava Giovanni Tumbiolo, un vero ambasciatore della pesca e della pace nel Mediterraneo

In un momento di conflittualità e tensioni le sue parole al Parlamento UE risuonano tremendamente attuali

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
15 Giugno 2025 10:04
Sette anni fa ci lasciava Giovanni Tumbiolo, un vero ambasciatore della pesca e della pace nel Mediterraneo

Sono trascorsi sette anni dalla prematura scomparsa di Giovanni Tumbiolo, 60 anni, presidente del Distretto della Pesca e Crescita Blu e ideatore dell’Expo Blue Sea Land. La sua morte, a causa di un improvviso malore, avvenne nel tardo pomeriggio del 15 giugno, in questa giornata a Mazara del Vallo si celebra la festa di San Vito, patrono dei pescatori.

Basta leggere il profilo biografico ed il suo percorso professionale di Giovanni Tumbiolo per comprenderne la grande personalità e il suo ruolo di guida, attraverso una visione ben chiara, della pesca siciliana ed il suo ruolo nel Mediterraneo, tanto da esser definito da più parti “Ambasciatore del Mediterraneo”. Unanime fu il riconoscimento da parte di eminenti esperti della portata internazionale della proposta di Giovanni Tumbiolo su una tematica complessa e della sua intuizione di un modello di cooperazione fondato sulla “Blue Economy” nel contesto mediterraneo. (in foto Giovanni Tumbiolo in un incontro al Quirinale con il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella)

Nell’ultimi anni si dibatte sulla volontà dell’Unione Europea di abolire, gradualmente, entro il 2030, la pesca a strascico “per garantire lo sfruttamento degli stock ittici a livelli sostenibili”, discutibili anche recenti decisioni dell’Ue in materia di pesca mediterranea. Giovanni Tumbiolo aveva un rapporto controverso con le istituzioni europee. Se da un lato riconosceva l’importanza del ruolo che l’Europa poteva svolgere anche nei processi politici, sociali ed economici nel Mediterraneo, dall’altro ne lamentava l’incapacità e la miopia nella comprensione di questo sistema (vedi l’emanazione di regolamenti non adeguati per la specificità della pesca del Mediterraneo) agendo in una prospettiva “atlanticocentrica” anche per l’incapacità dei rappresentanti dei Paesi rivieraschi di fare “lobby” nelle aule del Parlamento Europeo.

Il Presidente del Distretto Produttivo della Pesca Siciliano, nel pomeriggio del 9 novembre 2015, a seguito dell’invito del Presidente della Commissione Pesca del Parlamento Europeo Alain Cadec, parlò presso la sede di Bruxelles del Parlamento Europeo, sulla nuova dimensione esterna della Riforma della nuova Politica Comunitaria della Pesca (PCP). In quella sede Giovanni Tumbiolo non le mandò certamente a dire all’Ue sottolineando al contempo come soltanto il dialogo e la cooperazione potessero salvare il Mediterraneo.

Ecco i passaggi salienti di quel discorso che Giovanni Tumbiolo tenne di fronte a molti rappresentanti dei Paesi Europei: “L’Europa ha un ruolo di interlocutore primario, economico e politico nell’areale Mediterraneo ma deve considerare e tenere ben conto degli attori locali e periferici (di chi lavora in “trincea”) attraverso “politiche di prossimità” e di “cooperazione transfrontaliera”, assegnando quindi alle Regioni meridionali, in particolare alla Sicilia (lo impongono la storia e la geografia), un ruolo attivo nella costruzione di accordi commerciali, produttivi e culturali in materia di mare”.

Giovanni Tumbiolo evidenziò, destando molto scalpore fra i parlamentari europei presenti e gli uditori, i gravi problemi relativi alla Pesca Mediterranea: caro gasolio, zone economiche esclusive di pesca, spesso create unilateralmente (una fra tutte l’ancora irrisolta questione libica), la concorrenza sleale da parte di operatori dei Paesi rivieraschi che vendono in Europa il prodotto pescato nelle stesse aree di pesca, a costi molto più bassi (energia, mano d’opera, tasse) e che utilizzano attrezzi vietati in Europa.

Ciò, che nel rispetto dei regolamenti U.E. non viene pescato da noi – sottolineò - lo pescano altri che poi lo esportano nei mercati europei. Tutto ciò si incrocia con le tensioni esplose nei Paesi della Sponda Sud del Mediterraneo. Libia in primis. In questi anni l’U.E., sotto la spinta di lobby e di gruppi di interesse, ha attuato, lasciatemelo dire, delle nebulose strategie per ridurre il c.d. sforzo di pesca nel Mediterraneo”.

Tumbiolo stigmatizzò, inoltre, la demolizione dei natanti da pesca, strumento finanziato dall’Ue per diminuire lo sforzo di pesca. “La rottamazione delle navi –spiegò- ha provocato di conseguenza la “rottamazione delle braccia”, cioè l’espulsione dal mercato del lavoro di migliaia di lavoratori della pesca e dell’intera filiera ittica siciliana. Dal 2000 al 2014 – secondo i dati dell’ultimo Rapporto dell’Osservatorio – il numero di natanti da pesca in Sicilia è passato da 4.329 a 2.882, una riduzione di circa il 50%.

Si sono persi oltre 16.000 posti di lavoro in tutto il sistema pesca siciliano; di cui ben 7.000 nella sola Mazara del Vallo: capitale mediterranea della pesca. L’equazione: demolizione = riduzione sforzo di pesca, è risultata un’equazione errata e certamente non in linea con l’armonizzazione degli approcci comuni contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, così come previsto nel documento relativo alla dimensione esterna della Politica Comune della Pesca (PCP)”.

Rivolgendosi alle autorità presenti, Tumbiolo pose un interrogativo: “lo sapete che mestiere fa oggi il c.d. pescatore “rottamato” con un indennizzo di 40.000 euro? In una regione dove non ci sono molte alternative occupazionali nel 90% dei casi va a fare il pescatore di frodo. E siccome stiamo parlando di aree sensibili, difficili, dove le mafie la fanno da padrona, qualche volta, la tentazione di trovare “scorciatoie” rischia di diventare troppo forte”.

Il Presidente del Distretto della Pesca Siciliano parlò dei costi economici ed umani della cosiddetta “Guerra del pesce”: “La marineria siciliana ed in particolare quella di Mazara del Vallo (comunità fortemente dipendente dalla pesca) ha pagato nel corso degli ultimi 50 anni un prezzo troppo alto per una guerra dimenticata! Il bilancio ad oggi è catastrofico: 3 morti, 27 feriti colpiti dal fuoco di militari e/o miliziani di Paesi rivieraschi.(Cari colleghi, sapete, l’effetto dei proiettili dei bazooka e dei kalashnikov è assolutamente uguale sia che giungano da un gendarme che da un miliziano dell’ISIS), oltre 300 prigionieri detenuti negli anni, nelle carceri dei paesi nord africani.

Pesanti sono gli oneri pagati per il riscatto degli oltre 150 pescherecci sequestrati, (dei quali 6 definitivamente confiscati): un danno economico oltre che sociale, che gli esperti dell’Osservatorio della Pesca del Mediterraneo hanno calcolato in oltre 90 milioni di euro. La causa è la mancanza di Accordi. Chi risarcirà e quando questo enorme danno? La comunità peschereccia mazarese ha sopportato da sola, oltre ai morti ed ai feriti, tutto il peso economico e finanziario che rischia di soffocare la prima marineria del Mediterraneo”.

Così Tumbiolo attaccò le istituzioni europee in materia di pesca troppo poco attente alle questioni del Mediterraneo: “la comunità siciliana ha registrato la distanza sconfortante delle istituzioni e l’assenza dell’U.E. che, permettetemi di dire, si è limitata ad imporre regolamenti e norme sulla pesca con una visione un po’ strabica. Cioè, dopo il fuoco dei miliziani, abbiamo dovuto subire quello che in gergo militare si chiama “fuoco amico”, da parte chi proprio avrebbe dovuto tutelare, difendere i nostri operatori.

Cioè le istituzioni. Perché nessun Commissario Europeo alla Pesca è mai venuto ad onorare i nostri caduti in questa assurda guerra? Perché un Commissario non è mai venuto in visita a Mazara (capitale mediterranea della pesca) per ascoltare i pescatori ed i loro rappresentanti? Io ritengo –ribadì Giovanni Tumbiolo- che l’unico strumento possibile per mettere la parola fine a questa assurda guerra sia il dialogo, la cooperazione. Signori non vi è altra strada. Interroghiamoci: qual è stata la risposta dell’U.E.? Quali strumenti ha adottato? Uno degli strumenti principe è stato quello di richiedere ai Paesi terzi il rilascio di licenze di pesca nelle loro acque, a fronte di una compensazione economica.

Questo è a nostro avviso uno strumento incoerente con i principi dell’U.E. volti alla sostenibilità. Infatti, cosa volete che faccia un armatore che ha ottenuto una licenza di pesca in Tunisia, Marocco, Angola, Mauritania, o Costa d’Avorio? In assenza spesso di controlli, eserciterà una pesca improntata al massimo rendimento possibile in una finestra temporale ben limitata. Ciò si traduce in pratica in un enorme danno ambientale a scapito dei Paesi più poveri e di tutta la comunità internazionale.

Noi crediamo invece che il Dialogo, attraverso una cooperazione che coinvolga direttamente tutta la filiera ittica siciliana e i Paesi terzi e in particolare quelli della sponda sud del Mediterraneo, attraverso l’utilizzo razionale e condiviso delle risorse, della ricerca, della Blue Economy, attraverso il recupero e la valorizzazione della pesca artigianale, attraverso la formazione, sia una rotta obbligata. Il Distretto della Pesca, attraverso l’importantissima e delicata attività dell’Osservatorio del Mediterraneo, già dal 2006 promuove il modello di sviluppo economico/sociale della Blue Economy”.

Successivamente parlò delle innovazioni sviluppate seguendo i principi della blue economy. “La Blue Economy – sottolineò Tumbiolo- è l’economia della responsabilità, individuale e collettiva, che parte dal mare, dalla Sicilia, ma che non si esaurisce nel mare né con il mare e che guarda alla rigenerazione e restauro delle risorse, marine e terrestri. Tumbiolo così ricordò come nella precedente edizione di Blue Sea Land che vide la partecipazione di delegazioni di 42 Paesi, allo stesso tavolo sedettero rappresentanti libici di Tobruk e Tripoli, di Misurata e Bengasi.

I molti diplomatici presenti parlarono in quella circostanza come del “miracolo di Blue Sea Land”. “Credetemi –sottolineò Giovanni Tumbiolo- questa non è magia! è invece perseveranza, costanza, pazienza, dialogo, voglia di pace. Tutto ciò è avvenuto in Sicilia, quindi in Europa, nella mia Mazara del Vallo, città che a partire dagli anni ’60 ha registrato, grazie alla pesca, un massiccio ritorno nell’antica casbah di maghrebini, in prevalenza musulmani.

Oggi essi rappresentano circa il 20% della popolazione presente nella Città di 50 mila abitanti e convivono in assoluta armonia anche con altre comunità immigrate. Questo importante esempio di pacifica convivenza nella Medina di Mazara del Vallo fra persone che parlano lingue diverse, mangiano cose diverse, e hanno religioni diverse, è avvenuto in virtù della progressiva crescita negli anni delle attività di pesca e della sua lunga filiera. Oggi molte di queste attività per le ragioni sopracitate hanno chiuso i battenti.

Le restanti rischiano subire lo stesso destino, se non ci sarà un grande sostegno dell’UE ed una rapida inversione di rotta. Quello che oggi è un esempio mirabile di convivenza pacifica, che l’Europa deve promuovere e esportare, rischia di diventare una vera e propria polveriera

Rileggendo oggi, di fronte ad una “terza guerra mondiale a pezzi”, quanto pronunciato da Giovanni Tumbiolo in quel accalorato discorso ove si sottolineava la necessità di fare della pesca anche uno strumento di pace, si ha l’impressione, anzi la certezza, che molte delle questioni relative al Mediterraneo sono ancora oggi di tremenda attualità; molte delle cose previste da Tumbiolo, in primis il mancato dialogo e cooperazione dell’UE con la sponda sud del Mediterraneo, hanno trovato, purtroppo, riscontro nella realtà…

Francesco Mezzapelle       

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