"Teatro, amore mio!". "L'onorevole" di Leonardo Sciascia

E' la rappresentazione di un’attualità bruciante: la corruzione dal volto demoniaco nel sistema affaristico-mafioso

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
11 Maggio 2022 11:28

L’onorevole di Leonardo Sciascia, scritto a Racalmuto in una settimana nell’agosto del 1965, è la rappresentazione di un’attualità bruciante: la corruzione dal volto demoniaco nel sistema affaristico-mafioso. 

Nella nota introduttiva che correda il testo, a definire lo scritto “uno sketch” in tre atti (“brevissimi tempi” senza suddivisione in scene) è lo stesso autore (attento osservatore di caratteri umani, appassionato di cinema e studioso del “più grande libro sui libri mai scritto”: il Don Chisciotte di Cervantes). 

Protagonista è Frangipane: cattolico integerrimo, legge Manzoni, Tolstoj e Cervantes ed è colto e stimato insegnante di lettere in un liceo d’una città siciliana. Sciascia precisa che “è democristiano, e la sua circoscrizione elettorale è quella della Sicilia occidentale”. Per arrotondare lo stipendio impartisce lezioni private agli studenti rimandati a settembre (3-4 turni anche con 10 allievi alla volta); non gli pesa il vivere modestamente in un quartiere popolare ed è circondato dall’amore della sua famiglia e dal rispetto degli allievi. 

Trova un sostegno nella moglie Assunta che lo ammira e l’incoraggia a gestire con serenità le difficoltà quotidiane. La visita che una sera gli fanno a casa alcuni dirigenti locali del partito di maggioranza, unitamente a Mons. Barbarino ha uno scopo preciso: la proposta d’un seggio parlamentare qualora accetti la candidatura nella lista democristiana per le elezioni politiche che si svolgeranno da lì a qualche mese.

Il professore si schermisce, si sente onorato, ma si mostra abbastanza titubante perché inadeguato. Pensa di non possedere le qualità richieste all’adempimento del compito che peraltro lo porterebbe a sacrificare affetti e interessi personali. Mons. Barbarino insiste. Gli fa presente che la sua onestà, la cultura e i suoi ideali sono requisiti essenziali per l’impegno in politica. Uomini come lui possono certamente contribuire al progresso dell’amata terra. 

Così, Frangipane finisce col cedere alle lusinghe di un paio di portaborse e si candida alle elezioni del 1948 da cui esce vittorioso. Ben si adatta al nuovo contesto, mutando in primo luogo i tratti della personalità. Dapprima timido, diventa ora brillante e spregiudicato. Se aveva considerato ripugnanti i compromessi, adesso si mostra disposto agli intrallazzi. 

Senza più i valori che avevano orientato la sua funzione di docente e il ruolo all’interno della famiglia, loschi affari gli fanno stringere patti con personaggi malavitosi, riducendosi a strumento di speculazioni politico-mafiose come la corruzione edilizia di cui si parla nelle pagine delle cronache. La moglie prova dolore nel constatare il cambiamento truffaldino del marito. Contrariamente agli altri familiari, resta estranea al suo successo politico e si rifugia nella lettura e nello studio del Don Chisciotte (libro da lui preferito quando insegnava e che leggeva nei momenti di ozio). Con insistenza rivolge al marito la domanda: “Perché non leggi più il Don Chisciotte?”. 

Siamo nella tematica pirandelliana del sentimento del contrario: è lei ora ad appropriarsi dell’identità da lui smarrita. Lei arricchisce la sua istruzione, matura un pensiero politico ideale e sempre più acquisisce consapevolezza della spregiudicatezza del marito. Tiene sempre pronta una valigia nel caso in cui venga arrestato. 

L’onorevole, infastidito e preoccupato dai suoi stravaganti pensieri, visti come segni di squilibrio, chiama in aiuto Mons. Barbarino affinché la convinca ad accettare un “periodo di riposo” lontano da casa, perché giunga a un ravvedimento. Ecco allora che la donna, preda di moralistici deliri, oppone al realismo politico del sacerdote il sogno trasparente della vita, contrario alle regole oscure del Potere.

Evocando i fantasmi dell’errabondo cavaliere e del suo scudiero, è scomoda al sistema. Per la sicurezza della società, dove il giusto non ha diritto di cittadinanza, è lei infine che volontariamente sceglie di rinchiudersi nella casa di cura. Il colpo di scena, che stravolge l’impianto naturalistico, non si fa attendere. 

L’epilogo è spiazzante, sarcastico e disarmante, evoca lo straniamento brechtiano dell’attore: il prelato si libera dagli abiti di scena e informa gli spettatori che si è trattato di uno scherzo; la moglie dell’onorevole non è afflitta da scrupoli di coscienza, anzi si mostra compiaciuta a fianco del marito con cui condivide cerimonie e inaugurazioni. Tutti in passerella al Festival del cinema di Venezia con musiche ed eleganze, saluti e baci. 

Opera importante quanto a preveggenza e lungimiranza, riproposta oggi risulta però datata in quanto l'amara profezia di Sciascia ha di gran lunga superato l'immaginazione. Sentir parlare di connivenze tra politica, affari e criminalità organizzata, ascoltare di favori e corruzioni, di furbizie, tradimenti e compromessi, non scandalizza più di tanto. Siamo al naufragio della moralità e dei suoi detrattori.

Degna di nota la definizione di Calvino: “Una satira di moralità civile, la più persuasiva e precisa in un racconto che scorre senza mai una stonatura né una forzatura”. 

La commedia è stata rappresentata a Mazara quattro volte, in periodi diversi, nel 1974 dal Teatro 2, nel 1984 dagli studenti del Liceo Classico Gian Giacomo Adria, nel 1988 dalla Compagnia di Enzo Sasso, nel 2008 dal Teatro del Sole di Mariella Martinciglio per la regia di chi scrive. 

(nella foto di scena Tonino Piccione, Mariella Martinciglio, Nino Luppino)

Salvatore Giacalone

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