Una ferita destinata segnare per sempre la marineria e la Città di Mazara del Vallo attraverso il dolore di madri, mogli e figlie alle quali per 108 giorni è stata negata la possibilità di riabbracciare i loro uomini, 18 pescatori finiti nelle tetre prigioni della Libia Cirenaica e utilizzati come vigliacco strumento di ricatto politico. Oggi è trascorso esattamente un anno da quel drammatico atto di pirateria che vide otto pescatori mazaresi, sei tunisini, due senegalesi e altrettanti indonesiani cadere prigionieri dell’esercito sotto il comando del generale Khalifa Haftar.
Un ordine quello di sequestrare più motopesca italiani possibili quella sera del 1 settembre 2020 partito probabilmente dallo stesso Rais di Bengasi a seguito dello “smacco” della mancata visita del Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, dopo le tappe a Tripoli e Tobruk nelle precedenti ore. Miliziani cirenaici a bordo di una motovedetta e di un gommone, a circa 35 miglia dalla costa, iniziarono la “raccolta” dei motopesca presenti in quell’areale di mare internazionale considerato proprio dai Libici a seguito dell’istituzione della ZEE nel 2005 che si estende 74 miglia dalla base di costa. Due furono i pescherecci mazaresi sequestrati, il “Medinea” e l’”Antartide”, mentre altri due il “Natalino” (iscritto a Pozzallo ma con equipaggio mazarese) e l’”Anna Madre” fuggirono lasciando ai libici rispettivamente il secondo ufficiale e il comandante.
Vogliamo ricordare i nomi dei pescatori sequestrati: Karoui Mohamed, Daffe Bavieux, Ibrahim Mohamed, Pietro Marrone, Onofrio Giacalone, Mathlouthi Habib, Mohamed Ben Haddada, Jemmali Farhat, Ben Thameur Lysse, Ben Thameur Hedi, Moh Samsudin, Giovanni Bonomo, Michele Trinca,Vito Barracco, Salvo Bernardo, Fabio Giacalone, Giacomo Giacalonee Indra Gunawan. Furono accusati, anche se non ufficialmente, di aver pescato in acque libiche, e perfino di trasportare droga; si parlò addirittura di un loro scambio con 4 presunti calciatori libici incarcerati in Italia perché accusati della strage del ferragosto del 2015 con la morte in mare di 49 migranti davanti le coste siciliane.Accuse false ed infamanti per 18 pescatori che si trovavano in mare, internazionale, per guadagnarsi un pezzo di pane ed invece costretti a subire maltrattamenti, botte e angherie di ogni sorta, e violenza psicologica nelle quattro carceri nei quali trasferiti nel corso del sequestro; malnutriti e costretti a stare in locali angusti ed in condizioni igieniche pietose; molti di loro hanno avuto ripercussioni fisiche e psicologiche per quanto subito.
Ricordiamo quei tragici 108 giorni –raccontati quotidianamente dalla nostra redazione- vissuti dai loro familiari che hanno sentito la voce dei loro uomini soltanto una volta nel corso di una brevissima telefonata. Numerosi gli appelli lanciati al Governo italiano e alla Farnesina affinchè potesse sbloccare la questione divenuta giorno dopo giorno sempre più complessa; una richiesta per la liberazione dei pescatori al generale Haftar fu avanzata anche da Papa Francesco durante l’angelus della domenica.
Una delegazione, composta da familiari e dai due armatori Marco Marrone e Leonardo Gancitano, protestò pacificamente per diversi giorni in piazza del Parlamento, a Roma. Il resto dei familiari, mazaresi e tunisini insieme, occuparono l’aula del Consiglio comunale mazarese ricevendo vicinanza e solidarietà da rappresentanti istituzionali, locali e non. Sostegno concreto arrivò dal vescovo della Diocesi di Mazara, mons. Domenico Mogavero e dai sindacati, in primis Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Pesca.
Non mancarono i momenti di grande tensione con le manifestazioni sulle strade mazaresi e al porto. Come non ricordare il coraggio delle donne dei pescatori, le protagoniste della vicenda, che anche sotto la pioggia chiedevano la liberazione dei loro uomini.
Quando tutto lasciava presagire un tristissimo Natale per pescatori e familiari arrivò invece la svolta con una “missione lampo”, nella mattina del 17 dicembre, a Bengasi del premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio; vennero accolti in pompa magna dallo stesso generale Haftar desideroso di un riconoscimento internazionale dopo la sconfitta alle porte di Tripoli ad opera dell’esercito del GNA di Fayez Al Sarray supportato dai “contractors” turchi. La mattina del 20 dicembre nel porto di Mazara i 18 pescatori a bordo dei due motopesca (che nel porto di Bengasi furono depredati del gambero rosso pescato e di tutte le attrezzature e strumentazioni di bordo) ricevettero una grande accoglienza da parte della Città.
Al loro arrivo al “porto nuovo” le sirene dei motopesca ormeggiati iniziarono a suonare dando così il benvenuto ai 18 pescatori liberati. Grande applauso dei familiari e autorità presenti. L’incessante pioggia di quella mattina non fermò le urla di gioia delle mogli, delle madri e delle figlie dei pescatori. Diciotto colombe furono liberate sulla stessa banchina. Diciotto come il numero dei pescatori approdati dopo 57 ore di traversata. La nota foto dei diciotto pescatori sulla banchina di Bengasi prima di fare rotta su Mazara su Mazara ispirò il bellissimo dipinto (vedi foto copertina) dell’artista mazarese Manuela Marascia.
Oggi ad un anno esatto dal suo inizio vogliamo ricordare quella trista vicenda sottolineando però che le aggressioni in mare ai pescatori di Mazara del Vallo durante questo tempo non sono cessate (ci stava scappando anche il morto lo scorso 6 maggio al largo di Misurata), anzi adesso si sono registrate aggressioni anche nel Mediterraneo orientale da parte di imbarcazioni turche. Come non ricordare che ad oggi, nonostante le reiterate richieste dell’armamento mazarese di ripristinare la cosiddetta “Vigilanza Pesca”, le acque internazionali libiche sono interdette alla pesca in attesa di un “fantomatico” accordo fra l’attuale Governo Italiano e le autorità libiche (chi? Ancora in Libia vi è molta confusione); attraverso una petizione che ha già ricevuto migliaia di firme i sindacati Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Pesca chiedono al Governo italiano “Più sicurezza e diritti per i nostri pescatori nel canale di Sicilia”.
Continuando, come non ricordare il divieto da parte del Governo italiano (valevole ovviamente solo per i pescatori italiani) della pesca del gambero negli areali internazionali del Mar Tirreno? Vogliamo parlare della riduzione delle giornate di pesca con il permesso del “recupero” dei sabati e delle domeniche per i motopesca di Mazara del Vallo). Oppure del fermo biologico che però non vale per gli altri Paesi rivieraschi? E potremmo così continuare… A cosa è servito allora il dramma vissuto per 108 giorni da 18 pescatori e dalle loro famiglie se le condizioni di pescatori e della marineria di Mazara del Vallo sono peggiorate…? Dalla politica “bla, bla, bla”, solo promesse e pseudo impegni, per non parlare di quei pochi spiccioli destinati ai pescatori: una giornata di sequestro in Libia è stata conteggiata soltanto 30 euro, sabato e domenica ovviamente esclusi…Così muore uno Stato di diritto
Francesco Mezzapelle