Mazara, la nobile arte dei maestri d’ascia con lo sviluppo e crisi della pesca

Dai primi grandi maestri d’ascia in riva al Mazaro ai cantieri. La crisi della pesca mazarese e le “demolizioni”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
16 Gennaio 2022 10:28
Mazara, la nobile arte dei maestri d’ascia con lo sviluppo e crisi della pesca

La grave crisi che attanaglia la pesca da alcuni anni e la “politica delle demolizioni”, incentivata dall’Ue per diminuire lo sforzo di pesca, hanno provocato la quasi scomparsa a Mazara del Vallo, già capitale della pesca mediterranea, dell’antico mestiere del maestro d’ascia. Vi è il serio rischio che, come già avvenuto per altri legati alla pesca, questo mestiere possa estinguersi e con esso anche un grande patrimonio di conoscenze. Fino ad una quarantina di anni fa la realizzazione di un’imbarcazione da pesca rappresentava l’opera di una vera e propria comunità di piccoli artigiani, ognuno con le proprie competenze, con il proprio know-how. La nobile arte del maestro d’ascia ha iniziato a svilupparsi sulle rive del fiume Mazaro negli anni compresi fra le due guerre.

Il primo grande maestro d’ascia, capostipite di future generazioni mazaresi, fu Gaetano Bonifacio, originario di Amalfi: egli a 20 anni tentò la fortuna trasferendosi a Mazara del Vallo la cui marineria in quegli anni stava crescendo rapidamente. Da talentuoso apprendista in una delle falegnamerie del porto canale coltivava il sogno di aprire un cantiere navale. In quel tempo a Mazara del Vallo mancava ancora un cantiere con scalo di alaggio nonostante la sua marineria già contasse qualche centinaio di barche per la pesca delle sarde, una cinquantina di paranze per la pesca a strascico, quattro pescherecci a motore, e qualche decina imbarcazioni per la pesca con le nasse; la nascente classe armatoriale era costretta ad acquistare in altre città i pescherecci e a portarli a Marsala per le riparazioni o per il rimessaggio.

Convinto da alcuni amici, armatori e pescatori, Gaetano Bonifacio aprì il primo cantiere navale a Mazara, sorse nella banchina di ponente del porto canale, quasi alla foce ed accanto alla statua di San Vito, patrono della Città e protettore dei pescatori. Il cantiere di Bonifacio “l’amalfitano” accelerò lo sviluppo industriale della flotta peschereccia mazarese che cominciò a crescere per dimensione e numero. Quando il cantiere era al culmine del successo, era noto anche fuori dai confini regionali, Gaetano Bonifacio fu “costretto” a far ritorno a Salerno (ove fondò un altro cantiere) per sposare la sua fidanzata che non voleva trasferirsi a Mazara del Vallo.

Il suo cantiere mazarese fu acquistato prima dal palermitano Vaiarelli e poi dalla famiglia Giacalone il cui capostipite Michele, maestro d’ascia, si rivelò un grande costruttore navale. Dal cantiere Giacalone furono varati, non solo pescherecci ma anche rimorchiatori, motovedette, navi cisterne e tonniere d’altura. Nel cantiere di Bonifacio si formarono degli operai e tecnici considerati per quel tempo delle vere eccellenze. Uno di questi fu Marino Campana che fondò un proprio cantiere nel quale costruiti, con molta meticolosità, dei nuovi pescherecci per la pesca mediterranea; purtroppo non ebbe fortuna, a causa di una gestione non adeguata allo sviluppo della marineria.

Un altro storico cantiere fu quello della famiglia Cavasino originaria di Trapani. Nel luogo ove sorgeva quel cantiere successivamente una decina di operai, alcuni maestri d’ascia, formatisi lavorando nel cantiere di Marino Campana, crearono, agli inizi degli anni ’60, la Società Cooperativa “Il Carpentiere”; questo cantiere si distinse per la qualità del lavoro realizzando dei pescherecci, allora erano in legno, entrati di fatto nella storia della marineria mazarese;

La marineria ri Mazara nascì anche grazie a sti quattru ossa frarici”. Così con accento tipico mazarese mi disse qualche anno fa un ancora arzillo Andrea Asaro, uno degli ultimi grandi maestri d’ascia della città di Mazara del Vallo e fra i fondatori della Cooperativa “Il Carpentiere”. “Ho iniziato a lavorare a 15 anni. Insieme ad altri miei coetanei, quasi tutti classe 1933, abbiamo fatto molta esperienza nel cantiere di Marino Campana, inoltre facevamo anche altri lavori per conto nostro per sbarcare il lunario.

Così decidemmo ai primi degli anni ’60 di aprire un nostro piccolo cantiere”. Andrea Asaro ricordava bene i suoi compagni di avventura con la Società Cooperativa “Il Carpentiere”: Matteo Gancitano, Nino Burzotta, “Marineddru” Campana, Gaspare Scalia, Andrea Torre, Pino Burzotta e Simone Asaro. Sottolinea Andrea Asaro: “si lavorava con l’ascia, era un lavoro molto pesante; non c’era la pialletta elettrica. Un giorno si ed un giorno no uno di noi finiva per qualche taglio al vecchio ospedale del centro storico.

Impiegavamo circa cinque mesi per realizzare una barca. L’ossatura si realizzava in quercia ed il fasciame in rovere o pino silvestre, la legna veniva gran parte dalla zona di Napoli. Lavoravamo spesso anche di notte, soprattutto per gli allestimenti interni e la ghiacciaia. I miei figli sentivano che io ero appena rientrato a casa dal lavoro attraverso il forte e piacevole odore del legno che riempiva la nostra casa; anche loro sanno lavorare il legno”. Il vecchio maestro d’ascia così concluse: “il nostro primo motopesca realizzato fu il “Cheope Primo”; ne costruimmo quasi una ventina.

Ricordo anche la nostra ultima imbarcazione in legno, fu realizzata nel 1985, era il “Salvino Primo”; negli ultimi anni del cantiere facemmo lavori di manutenzione e riparazione”. (In foto l’inaugurazione del motopesca “Salvino Primo”, di sfondo l’antica di statua di San Vito all’ingresso del porto canale).

La Cooperativa sopravvisse per alcuni anni al passaggio dai natanti in legno a quelle in ferro; chiuse i battenti a metà degli anni ’90 anche per la sopraggiunta età dei suoi fondatori. L’esperienza de “Il Carpentiere” fu raccolta dalla seconda metà degli anni ’90 da un nuovo cantiere il cui proprietario era Salvatore “Giamino” Asaro, figlio di Simone, che era stato uno dei soci della Cooperativa. Il cantiere di Asaro sviluppò anche eccellenti competenze per la pesca locale e da diporto. A seguito della crisi del comparto peschereccio, lo stesso cantiere dovette anche “adattarsi” a svolgere un’attività “non prevista” e cioè la demolizione dei pescherecci (pratica, durata quasi un decennio) alla quale costretti molti armatori per potere pagare i loro debiti.

Altra sciagura sulla cantieristica mazarese è stata la progressiva innavigabilità del porto canale. Il porto di Mazara del Vallo non viene dragato da più di quarant’anni; l’iter per l’avvio dei lavori si è sempre interrotto, per ragioni sempre diverse, proprio quando sembrava concluso. Negli ultimi anni numerosi pescherecci sono rimasti incagliati, riportando anche gravi danni, fra le sabbie del porto canale sia durante le manovre per l’entrata o uscita dai cantieri che nelle operazioni per il rifornimento di gasolio.

La mancata fruibilità del porto è stata una delle motivazioni che hanno convinto “Giamino” ad “esternalizzare” circa 8 anni fa la sua attività (lasciando ai suoi tre figli la gestione del cantiere mazarese) con la creazione di un cantiere in Tunisia, nella città marinara di Mahdia; da questa città erano originari i moltissimi tunisini emigrati a Mazara, a partire dalla fine degli anni ’60, per lavorare nella pesca. Nel cantiere di Mahdia lavorano operai locali guidati da alcuni operai italiani, alcuni sono i discendenti degli antichi maestri d’ascia mazaresi.

In generale, la crisi del sistema pesca di Mazara del Vallo ha provocato la “diaspora” del know-now, e non ci riferiamo solo al settore della cantieristica, sviluppato fra le rive del fiume Mazaro. Oggi molte eccellenze dell’indotto della pesca mazarese sono al servizio della crescente flotta peschereccia della vicinissima Tunisia che, senza limitazioni e vincoli normative, pesca negli stessi areali internazionali battuti fino a poco tempo solo dai pescherecci di Mazara del Vallo.

Francesco Mezzapelle 

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