Il “Giorno della Memoria” e gli ebrei a Mazara del Vallo

Gli ebrei furono molto attivi nel quartiere della “Giudecca” fino al loro abbandono nel 1493

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
27 Gennaio 2022 09:08
Il “Giorno della Memoria” e gli ebrei a Mazara del Vallo

“Shoah” è un termine ebraico con il quale viene indicato lo sterminio degli ebrei vittime del genocidio nazista. E oggi, 27 Gennaio, celebriamo il “Giorno della Memoria”. La memoria della Shoah, dello sterminio programmato delle popolazioni ebraiche di tutta Europa. E attraverso il ricordo delle vittime del più ostinato e ossessivo e folle dei piani del Terzo Reich ricordiamo tutte le vittime del nazismo. Perché questo ricordo, che come monito contro l’odio dovrebbe vivere nelle menti di tutti gli uomini, possa impedire il ripetersi di tragedie simili.

La “Shoah” è però unica. E’ diversa da ogni altro genocidio o strage abbia avuto luogo nella Storia. Mazara ricorda il periodo ebraico in cui visse alcuni secoli prima, quando ha ospitato migliaia di ebrei. Alcuni documenti importanti dimostrano che la comunità di Mazara aveva un’organizzazione autonoma, e precisano anche la quantità di oro da versare “al rapacissimo regio fisco” in diverse e speciali circostanze. Più volte gli Ebrei di Mazara parteciparono economicamente alle vicissitudini civiche e del territorio: essi, infatti, in tutti gli atti pubblici venivano considerati cittadini e non stranieri! Abili mercanti, commerciavano a fianco di genovesi e pisani. La maggior parte si dedicava all’agricoltura, alla pastorizia, all’artigianato; in particolare essi erano fabbri, tessitori, tintori, tagliatori di pietra (pirriaturi), falegnami, muratori, bottegai, ma anche farmacisti e medici di valore.

Ma quello che è poco noto è che vi era anche un’attività intellettuale di levatura tra gli ebrei di Mazara; la cittadina costituiva anche un buon mercato librario, dove si distinguevano eruditi come Callimaco Monteverde (ebreo poi convertito al Cristianesimo), autore di un “De laudibus Siciliae”. Si stabilirono nel centro antico della città e, nel cuore del quartiere ebraico, tra la Piazza S. Michele e la piazzetta della reggia-fortezza del sultano Ibn Mankut, c’è la Via Goti dagli antichi edifici, erosi dal tempo.

Il toponimo deriva dal nome Li Voti, un ebreo, abitante in questa strada che l’addetto alla toponomastica nel 1865 erroneamente cambiò in Goti. Questa via, larga circa cinque metri, ad impianto urbanistico di stile islamico, dopo lo sbocco nella Piazza Marchese, adesso Piazza Francesco Modica, un tempo, proseguiva fino a raggiungere la via Bagno e andava a respirare la salsedine marina, la sabbia del vento africano e ad origliare il rauco grido dei gabbiani nella piazza dei pescatori. Ancora persiste, accanto all’ex cinema Diana, il vicolo che sboccava nella Piazzetta Marchese.

L’arte medica degli ebrei era stata sempre apprezzata, pur tuttavia aveva ingenerato dei contrasti con la categoria dei medici cristiani quando nel 1488 la regina Giovanna aveva concesso ai medici ebrei il privilegio di esercitare la libera professione anche presso i Cristiani. L’istanza, avanzata dai medici cristiani alla Curia vescovile, soprattutto per motivi di gelosia e concorrenza, non ebbe gli effetti sperati. Il 31 marzo 1492 Ferdinando il Cattolico emise l’editto d’espulsione degli ebrei dal Regno.

L’ordinanza imponeva l’abbandono dell’isola e la confisca dei beni nel caso di mancata conversione o di permanenza. Gli ebrei abbandonarono la terra natia di Mazara il 12 gennaio 1493. Rimasero i cristianizzati che subirono molte angherie. L’allontanamento disastrò l’economia mazarese. Soltanto nel 1782 fu posta la parola fine. Chi si sofferma oggi, nella Via Goti (vedi foto di copertina) o in un vicolo qualsiasi della “Giudecca” diruta, avverte un silenzio profondo, figlio della solitudine e dell’abbandono, un silenzio antico di secoli, forse lo stesso che accompagnò gli ebrei nel loro viaggio senza ritorno.

Salvatore Giacalone

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