La Sicilia era l’isola dell’acqua! O no? Basterebbe ricordare quando c’era una volta la Conca d’Oro e scrittori come Johann Wolfgang Goethe che, giunto a Palermo nel 1787, incantato scrisse: “L’Italia senza la Sicilia non lascia immagine alcuna nello spirito. Qui è la chiave di ogni cosa”. L’acqua da salvare è stata al centro di battaglie civili di Danilo Dolci, sociologo, poeta e «Gandhi della Sicilia», come lo chiamavano, che con digiuni e marce, dagli anni Sessanta del secolo scorso, chiedeva infrastrutture idriche essenziali per cambiare il volto assetato della Sicilia contro «la mafia dei pozzi».
Ma sull’isola sulla frontiera del clima desertico, rimase la solita condizione emergenziale. Che ancora c’è nell’anno 2024. Il 12 marzo scorso ha visto l’ennesima dichiarazione dello “Stato di crisi e di emergenza per l’acqua potabile fino al 31 dicembre”, poi si vedrà. La Regione elencava le province a secco anche in pieno inverno: Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina, Palermo e Trapani, con stati di allerta in quelle di Catania, Ragusa e Siracusa avviava il razionamento.
Vero è che in Sicilia tutto è destinato a complicarsi, e l’acqua è una di quelle questioni, ma se ancora oggi, nell’agrigentino, nel trapanese e dintorni, la norma è sempre la “turnazione” dell’acqua che arriva ogni tre o quattro giorni se va bene, e l’arredo più comune su terrazze e balconi è fatto da contenitori e bidoni di plastica per accumularla, se gli investimenti sono a zero; se le leggi nazionali restano inapplicate e come se nulla fosse; se l’acqua i comuni o i contadini devono ancora comprarla come nel Medioevo; se molti impianti obsoleti erano e obsoleti restano con reti che perdono anche il 100% di risorsa e aziende; e se non si riescono nemmeno a spendere i miliardi stanziati per acquedotti e depuratori; se si piangono i 5 morti asfissiati a Casteldaccia mentre ripulivano condutture fognarie del tutto privi di formazione e di sistemi protezione perché mancano aziende idriche, allora il problema non sono le siccità ma altre cause.
Gli studiosi della materia affermano che “Il 68% dei comuni, con il 47% della popolazione regionale, ancora affida il servizio idrico a qualche dipendente degli uffici tecnici comunali nella totale mancanza di capacità tecniche, personale, mezzi e risorse finanziarie”. E continuano a nominare sempre nuovi «commissari straordinari». Manca un piano regionale degno di questo nome per le infrastrutture primarie, e ogni tentativo di riorganizzazione della gestione idrica è miseramente fallito. Un caso per tutti? La Diga Trinità che dovrebbe dare acqua a 8.000 ettari di coltivazioni tra Castelvetrano, Campobello di Mazara e Mazara del Vallo, è uno dei simboli dell’immobilismo e dello spreco.
Costruita tra il 1954 e il 1959 non è mai stata collaudata con il suo lago, a 69 metri sul livello del mare con superfice liquida di 2,13 km2 corrispondenti a un volume massimo di 20,3 milioni di m3. Sottoposta a limitazioni, con provvedimento dell’Ufficio Dighe della Regione, il gestore Consorzio di bonifica della Sicilia occidentale deve svuotarla. E ormai da mezzo secolo sono sempre «in corso verifiche sulla stabilità sismica». E così, nelle annate siccitose l’acqua scivola via.
Riflessione dell’ex sindaco di Mazara Nicola Cristaldi già coordinatore del Comitato Enti locali della Commissione parlamentare Antimafia nazionale che il 7 febbraio 2018 (sei anni fa) affermava all’Ansa: “Se un viaggiatore tornasse in Sicilia dopo oltre 35 anni di assenza crederebbe di aver fatto un tuffo nel passato. Un salto indietro nel tempo. E anche se alla guida del governo non c'è più Bettino Craxi e alla presidenza della Regione non ci sono più Santi Nicita o Modesto Sardo, per quanto riguarda la gestione delle risorse idriche, nulla è cambiato.
Eppure la soluzione all'emergenza siccità non è così complicata: basterebbe innanzitutto costruire e fare entrare in funzione i dissalatori. Infatti l'acqua del mare non è destinata a esaurirsi. Almeno per i prossimi millenni". I dissalatori però oggi costano. Per rendere funzionante quello di Trapani che cade a pezzi, occorrono 19 milioni. E dopo la riattivazione l’assistenza tecnica quotidiana chi la paga? Ma, in sostanza, la colpa di tutto ciò che accade di chi è? La risposta è univoca: della politica e dei politici.
Non la pensa così il commediografo siciliano Beniamino Ioppolo che ha intitolato una sua commedia nel lontano 1958, sulla guerra per l’acqua tra due Paesi confinanti: “L’acqua si diverte a far morir di sete”, la scrisse 56 anni fa e “l’acqua ancora si diverte”. Ma in questi 56 anni cosa hanno fatto i governi regionali che si sono succeduti? Ed anche quelli precedenti, evidentemente! (nella foto quando l’acqua ancora non c’era. Si ritornerà così? )
Salvatore Giacalone