“Una punta di Sal”. La miseria e la povertà… E il caso Mazara

Una fotografia sui nuovi poveri. La questione degli immigrati. Il divario sempre più alto tra ricchi e poveri

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
06 Febbraio 2022 08:25
“Una punta di Sal”. La miseria e la povertà… E il caso Mazara

Nuovi e vecchi poveri. Italiani e stranieri, quelli che arrivano dal Nord Africa sui barconi. Ci sono quelli che inneggiano ai respingimenti in mare per paura che le acque portino forza lavoro in grado di sottrarre quelle residue opportunità che restano ai nostri figli. Così si è cominciato a vedere con ostilità gli immigrati, i nuovi poveri che arrivano in un Paese che non può dare lavoro e integrazione sociale né a loro né a una larga parte della popolazione italiana. Così la xenofobia, che prima della crisi economica era un fenomeno assolutamente marginale, ha preso forza; non a causa di un problema culturale, ma a causa della povertà sempre crescente.

Ancor più dei conflitti armati, che spingono verso l’Europa un numero di profughi la cui accoglienza non costituisce un problema e non viene messa in discussione, la vera emergenza è l’aumento vertiginoso della povertà nel mondo; quella che spinge popolazioni sempre più bisognose verso paesi nei quali un tempo c’erano welfare e lavoro per tutti, ma che oggi non possono garantirli più a nessuno.

Mazara è una isola felice che accoglie gli immigrati. La casba fu il ghetto dei mazaresi e lo divenne poi degli emigrati. Quando i primi lasciarono il quartiere dopo il terremoto del 1981, soprattutto i tunisini vi trovarono rifugio a buon mercato per massimizzare i risparmi del lavoro in mare e fare comunità. «È dagli anni Ottanta, infatti, che quest’area cominciò a essere chiamata impropriamente “casba” (in foto copertina), per sottolinearne l’aspetto sociale e l’atmosfera degradata», spiega Mario Tumbiolo, architetto e storico mazarese.

«Ma la persistenza della tradizione urbanistica islamica la rende singolare. È ben scandito lo spazio tra le aree pubbliche, private e semi-private. I cortili sono chiusi alla vista esterna per proteggere le entità domestiche e i vicoli decentrati possono essere considerati come un involucro protettivo delle antiche forme di vita popolare». Secondo Hafef Hagi, responsabile di PONTES, una delle principali associazioni della diaspora tunisina in Italia, con sede a Milano, «si tratta di una dimensione unica.

La comunità tunisina che risiede a Mazara è un caso a parte, un’eccezione. È poco emancipata e non sempre sfrutta gli spazi di democrazia di cui dispone, ma ha un rapporto particolare con la Tunisia, anche grazie al pendolarismo tra le sponde del Mediterraneo. E per questo, a volte, è anche invidiata».

La forbice tra ricchi e poveri si divarica sempre di più e fa presagire un futuro in cui il modello di distribuzione della ricchezza si appiattirà ovunque sugli standard dei paesi del terzo mondo.Quindi la soluzione al problema delle migrazioni consiste nella lotta per la redistribuzione della ricchezza.Siamo in guerra. Ed è la peggiore di questo secolo. È la guerra tra poveri. Ho sentito l’altra sera in TV che vi sono in Italia 5 milioni di poveri, poveri che non hanno un piatto di pasta. Sono i vecchi e nuovi poveri, figli di questo tempo di crisi a cui nessuno, per troppi anni, ha dato ascolto, né voce. Una guerra di solitudine e, insieme, di appartenenza. Una guerra senza vincitori, soltanto vinti, e un solo arbitro possibile, lo Stato. Non immagino vecchi sfaticati cresciuti e pasciuti a pane e assistenzialismo.

I nuovi poveri italiani e siciliani, in particolare, hanno il volto dei giovani laureati, delle partite iva, dei precari a tempo indeterminato. Mi riferisco a chi stenta ad avere anche una prima occasione, un primo approccio attraverso un tirocinio, a chi accetta uno stage non retribuito pur di “cominciare ad entrare”, dimenticando o facendo finta di non sapere che il lavoro, qualsiasi e a qualunque età, va sempre retribuito. Parlo di chi accetta di essere dequalificato e con discutibili mansioni pur di non essere licenziato.

Ecco perché non ci si può sdegnare se, mancando tutto, in tanti decidono di scagliarsi contro l’altro, contro il prossimo, anche se sta nella stessa condizione. È questa la guerra tra poveri, fatta di paura e che non ha necessariamente bisogno che l’altro sbarchi da una costa lontana. Ma che certo, se lo vede arrivare, non ha alcun motivo per accoglierlo. Inutile dire che l’altro siamo noi stessi. Perché ormai quello che conta sono i fatti. E i fatti dicono che siamo poveri e soli.

Anzi, siamo al buio. E ci resteremo fino a quando non si girerà l’interruttore delle idee, per il lavoro, la buona formazione, lo sviluppo. Questa è la scommessa che fa la differenza tra la guerra e la pace.

Al Sud, il divario fra la spesa alimentare media mensile di una famiglia benestante e quella delle famiglie in povertà è enorme: si passa da 1.267 a 442 euro mensili. Per le famiglie in difficoltà, la spesa alimentare e quella per l'abitazione, incluse le bollette, occupa la gran parte del bilancio familiare, lasciando poco e niente per spese importanti sul fronte della cultura, dello sport, della salute e dell'istruzione dei figli. Tra povertà e miseria si insinua una sottile differenza.

Sono due termini che vengono spesso accoppiati per definire situazioni caratterizzate da scarsità di mezzi economici, da intensa sofferenza e vulnerabilità sociale. Per San Tommaso la povertà era la mancanza del superfluo, mentre la miseria era la mancanza del necessario. La differenza fra povertà e miseria è là. Condannare degli uomini e delle donne alla miseria è una violenza che va considerata come una violazione dei diritti umani. A Mazara i “veri” poveri sono circa 2000, quelli che frequentano la Caritas ed altre associazioni cattoliche e laiche per un piatto caldo, circa 2000 sono coloro che usufruiscono del reddito di cittadinanza.

Anche loro da classificare come poveri?

Salvatore Giacalone

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