L’idea che il sindaco sia rappresentativo rispetto alla gente di un luogo, ci rimanda a immagini romantiche di un tempo in cui si conosceva esattamente l’uomo prima del politico. In quel tempo non c’erano le coalizioni, c’erano gli accordi tra i partiti (specialmente sottobanco tra i leader) e già si conosceva in partenza la sequenza dei sindaci che dovevano governare per l’anno in corso: sei mesi sindaco Tizio, otto mesi Caio, un anno Sempronio. Prendiamo l’esempio di Mazara degli anni ’60.
Nel mese di novembre di quell’anno viene eletto il sindaco il comunista Elio Pernice che dura però un paio di mesi perché nel mese di dicembre venne eletto il democristiano Rosario Ballatore che resterà in carica fino al mese di febbraio del 1962. Nella DC ci sono però aspre lotte di correnti e, pertanto, Ballatore decade e nel mese di marzo viene eletto Francesco Modica che dura però appena un mese. Nel mese di novembre viene eletto il DC Vincenzo Ingraldo che dura però fino al mese di ottobre del 1963, decade in quel mese e viene eletto, nel mese di ottobre, il comunista Salvatore Giubilato fino al mese di maggio del 1964.
Per quietare le acque, interviene il commissario regionale Giuseppe La Manna. Riprendono le elezioni nel mese di gennaio e viene eletto a maggioranza dei votanti (non esisteva il ballottaggio) il comunista Elio Pernice che dura però fino al mese di ottobre, a novembre si volta pagina e la palla passa al liberale Girolamo D’Andrea che decade però a giugno del 1967 per cedere la poltrona al democristiano Nicolò Vella in carica fino al 1968, l’anno dl terremoto del Belice ed a cui subentrò nel mese di settembre, dello stesso anno, il solito commissario regionale Giuseppe Lamanna.
Dal mese di agosto del 1970 al mese di dicembre la Città è stata governata dal democristiano Giacomo Giubilato. In sostanza in otto anni ci sono stati dieci sindaci e due commissari regionali. La Città è pietrificata. L’economia è soltanto la pesca ed in Consiglio comunale sono numerosi i rappresentanti di questo mondo peschereccio, armatori e “ricattieri”. L’elettorato è stato chiamato ad eleggere i sindaci e suoi rappresentanti in Consiglio, con il voto di preferenza, in appena tre occasioni, l’elezione del primo cittadino è nelle mani dei consiglieri comunali e dei partiti che cambiavano sindaco e amministrazione secondo i patti già concordati prima di ogni elezione.
Si conosceva, quindi, già il nome del sindaco e quanti mesi sarebbe durato ed anche gli assessori per quanti mesi sarebbero rimasti in carica. Un turn-over come accade per le squadra di calcio da mandare in campo. Oggi l’elezione diretta del sindaco ha cancellato questo “baratto” politico ma oggi per l’elettore conoscere la “storia” personale del candidato sindaco e della squadra assessoriale, è una condizione indispensabile per avviare un progetto per la città. Le coalizioni oggi ci sono, domani cambiano e si frammentano, l’elettore però riconosce soltanto il proprio sindaco, quello che ha votato o che è stato eletto.
Oggi, tra l’altro, oltre il sindaco si vuole anche il manager, una figura che fino a poco tempo fa era lontano dagli schemi di una comunità cittadina. Da questa condizione nascono anche nuove figure a mezza via tra la politica classica e la “managerialità utile”, un conio che definisce bene la figura del manager prestato alla politica, questo si dice dei tanti che oggi si trovano a occupare gli scranni più alti del potere politico sia esso locale piuttosto che nazionale, votati dal popolo e per questo legittimati “all’utilità” intesa esattamente come da vocabolario, ossia ciò che è utile a un fine.
Questa figura piace molto perché allontana il cittadino dai nefasti pensieri di una politica ladrona e dissennata, rendendogli un’idea di efficienza e forse di capacità nel distribuire la ricchezza. C’è poi il popolo, variegato e indifferentemente distribuito nelle Società, un tempo portata al dialogo e l’incontro, oggi alienata e pressoché catalogata attentamente, spiata nel privato, controllata e largamente gestita. Cosi arriviamo ai primi fermenti della campagna elettorale di Mazara, oramai alle porte (anche se manca ancora oltre un anno) e direi ufficialmente aperta dall’ex sindaco Nicolò Cristaldi e dallo stesso primo cittadino Salvatore Quinci che ha fatto intendere che avrebbe l’intenzione di presentarsi per un secondo mandato da utilizzare, lui dice, per terminare ciò che ha iniziato.
I vari ambienti politici, si stanno preparando per allestire il proprio carro elettorale sul quale porre un uomo, un nome da presentare al popolo attraverso gli artifizi della comunicazione di massa, mediante i soliti sistemi di reset e riprogrammazione cerebrale. Gli schieramenti politici si muovono facendo molta attenzione al potere da accontentare e alla massa da pilotare, basi su cui costruire il candidato perfetto, grazie anche a chi è preposto allo studiare “ad hoc” il costume, la maschera e le parole chiave da usare durante la campagna elettorale.
Ma c’è anche una forma “del male minore“ controversa teoria che nega la ricerca dell’uomo migliore per uno “meno peggio”. Appare facile ripulire e lucidare l’uomo già in sella, rendendolo futuribile e piacente alla massa votante, su questo non serve fare molto, basta muovere i luogotenenti e i pretoriani fedeli verso le periferie, un serbatoio di voti indispensabile. Basta una passeggiata del candidato che sorridente stringa mani e destra e a manca, per convincere molti di essere ancora l’uomo giusto.
In periferia c’è sudditanza, astinenza o indifferenza, tanta è l’assenza e la distanza tra il potere e gli ultimi. E le percentuali dei non votanti si allunga sempre di più. Ecco il palcoscenico mazarese oggi più che mai pirandelliano.
Salvatore Giacalone