Le bombe nucleari sganciate il 6 e il 9 agosto 1945 dai bombardieri statunitensi furono espressioni delle barbarie del 900, manifestatasi già nel conflitto 1914-18, proseguita con il terrorismo nazista e portata alle estreme conseguenze ad Auschwitz. Hiroshima, 6 agosto 1945, ore 8,17 locali, a 580 metri di altezza esplode la prima bomba nucleare della storia, a Nagasaki tre giorni dopo. Si è trattato di devastazioni di crudeltà inaudita. I giornali e le testimonianze dell’epoca raccontano di una luce abbagliante, una pioggia nera, la nuvola a fungo con le sue esiziali radiazioni, una morte agghiacciante sono state le lugubri conseguenze della deflagrazione di un’arma capace di uccidere, con un sol colpo, a Hiroshima 140.000 persone, di cui 71.000 immediatamente e il resto nel giro di alcuni mesi, e a Nagasaki 35.000-40.000 all’istante e complessivamente circa 80.000.
A Hiroshima la temperatura ha fuso qualsiasi cosa con i suoi 3.870 gradi; ha ustionato, carbonizzato e sfigurato orribilmente decine e decine di migliaia di corpi. Non vogliamo fare a cronaca di quegli anni ma un esempio di come sono stati vissuti lo racconta Francesco Soverina, dell’Istituto Campano per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea. Saverina ha raccolto la testimonianza di un sopravvissuto alla bomba di Hiroshima. A distanza di sessant’anni (2005) da quell’evento spartiacque Takashi Tanemori, che all’epoca era un bambino, ha dolorosamente detto: “A me la bomba ha portato via tutto.
Ha annichilito la mia infanzia, ha distrutto la mia famiglia. Di mia madre e mia sorella minore si perse ogni traccia il 6 agosto, non fu mai ritrovato neanche un frammento dei loro corpi. Mio padre morì il 3 settembre per le ustioni, le ferite e le radiazioni; mia sorella maggiore il 5. Un mese dopo erano morti anche i nonni. Io solo ero vissuto per miracolo, non so se per volontà di Dio o di Buddha. Ma la società da quel giorno prese a guardarmi con disgusto, ero un relitto dell’atomica, un orfano della disfatta. A 16 anni tentai il suicidio.
Ho perso la vista. Ho avuto un cancro e hanno dovuto togliermi lo stomaco. A 40 anni avevo già sofferto due infarti. Sono stato mandato in California una prima volta nel 1956 per curarmi, e fui quasi ammazzato di nuovo, ridotto a topo da laboratorio per le prime ricerche di un certo dottor Gallop sugli effetti delle radiazioni atomiche. I duecentomila che a Hiroshima e Nagasaki morirono sul colpo non furono i più sfortunati. Loro sono andati in paradiso subito”.
Salvatore Giacalone