La sostanza conta più dell’apparenza? E’ un tema affascinante che fa discutere, ma anche in passato ricordiamo che Macchiavelli e Pirandello già si erano posti l’interrogativo che oggi, forse, più che ieri, è tema di dibattito nei social dove si discute tanto ma senza approfondire. Ma negli anni ’50, 60’, 70’ si poneva l’interrogativo “La sostanza conta più dell’apparenza”?. Trascrivo il pensiero di Roberto Vecchioni, uomo di cultura, docente di filosofia, autore e cantante di successo.
“Sono vissuto negli anni '60 – attacca Vecchioni - e, guardando i ragazzi di oggi, posso dire che sono felice di essere nato in quegli anni. Non c’era il cellulare, Facebook, Twitter e quando dovevamo vederci per giocare citofonavamo a casa del nostro amico e chiedevamo alla sua mamma se poteva scendere a giocare. Non avevamo bisogno di abiti alla moda firmati tanto li sporcavamo ogni giorno. Ci emozionavamo per un bacio sulla guancia. Costruivamo capanne con tutto quello che trovavamo, giocavamo al ‘cuoco’ in giardino con terra e fiori.
La fantasia era tutto. Non avevamo videogiochi, solo bambole e palloni. Vinceva chi lasciava la scia più lunga sgommando con la bicicletta. Quando iniziava a fare buio sapevamo che dovevamo rientrare senza che nessuno ci avvisasse. Eravamo piccoli ma non ci fingevamo grandi, né vedevamo l’ora di diventarlo. Vivevamo in un mondo dove la sostanza contava molto più dell’apparenza, dove non si pubblicavano le foto dei pranzi su Facebook ma li gustavamo assieme alla nostra famiglia, perché la famiglia era tutto.
I baci li davamo davvero, non mettevamo le faccine su una bacheca e i "ti voglio bene" erano sinceri. Era più sostanza, non apparenza”. Fin qui Vecchioni. Ed oggi?. Forse è più importante apparire in pubblico non importa se si appare veri o se si ha solo l’apparenza di esserlo. Ciò che conta è figurare molto, essere appariscenti, ostentare magari ricchezze che non si hanno. E la politica, anzi i politici? Mai come oggi la società sembra spaccarsi in due su tutte le questioni di attualità: dai vaccini alla guerra in Ucraina, dall’Unione europea a Gaza.
Eppure, nonostante i dibattiti infuocati e il continuo clima di scontro tra opinioni contrapposte, nulla sembra cambiare. Le organizzazioni politiche sono sempre più deboli, i sindacati inesistenti, i partiti evaporati e a votare si è sempre in meno. Dalla post-politica siamo passati all’iperpolitica. Un fenomeno, alimentato dai continui litigi online, in cui a dominare sono moralismo dilagante, apparenza senza sostanza e incapacità di immaginare dimensioni di lotta collettiva. La maggior parte degli italiani ritiene che gli impegni presi non vengano mantenuti.
Si è riusciti ad elevare a “valore” politico la caccia alle streghe, cioè al nemico, l’indicare sempre e comunque un oscuro avversario che trama nell’ombra contro, abbiamo elevato l’ignoranza, sdoganandola dai bar, dalla piazza, abbiamo azzerato il valore culturale, il merito e la competenza, dando parola a chiunque, soprattutto su argomenti e questioni di cui non sanno niente. Abbiamo scelto di inseguire la mediocrità, come panacea per non mostrare le nostre mancanze e abbiamo criminalizzato il talento e il merito, poichè evidenzia la nostra incapacità.
E subiamo le promesse non mantenute. “Si. Non si preoccupi, Tutto sarà fatto. Mi saluti sua moglie”. Le stesse frasi, da anni. La Politica doveva inseguire l’eccellenza, doveva essere la risposta ai problemi del Popolo e del Paese, oggi la politica è solo uno strumento. Uno strumento per fare carriera, uno strumento per mantenere il consenso, non importa cosa di concreto si realizzi, l’importante è solo dare la percezione di fare. Dovremmo ricordarci che la politica ha l’obbligo, morale, di stare a servizio dei cittadini: non sono questi che devono mettersi a servizio della prima.
La politica, così come oggi la interpreta la nostra classe dirigente altro non è che una battaglia tra deputati e gente che siede nelle poltrone rosse, si beccano tra loro, rimpallandosi responsabilità, colpe, accuse… senza avere il coraggio di prendere in mano una particolare situazione e proporre soluzioni e risposte concrete. L’Apparenza è nemica del Fare. L’apparenza è la machera. Da Nord a Sud, le stesse promesse dietro una maschera che nasconde menzogne, verità malcelate. Altro giro, altro esempio.
E metti che sei un uomo in carriera cui importa solo del tuo potere. Oppure, sei per esempio un politico estremo di destra o di sinistra, sei un razzista. Ma ora ti cercano, hanno bisogno dei tuoi voti. Tu hai bisogno di ripulirti. E tu accetti e indossi la tua maschera che dice che ci credi. Potremmo andare avanti molto a lungo. Poi ci sono le persone vere: intendo quelle così povere che la maschera non se la possono nemmeno comprare. E si domandano: ma sotto quelle maschere, cosa pensano davvero? Uno dei temi fondamentali dell’opera dello scrittore siciliano Luigi Pirandello, premio Nobel per la Letteratura nel 1934, è quello del conflitto irriducibile tra l’essere e l’apparire esemplificato dall’oggetto della maschera.
Una visione che ha forti ripercussioni sull’attualità contemporanea in cui assistiamo al predominio dell’immagine nel mondo social. In questo presente digitale in cui mostrare - ma soprattutto mostrarsi - è diventato il nuovo modo di raccontarsi, la visione pirandelliana della maschera si concretizza in una tragica realtà che si fa ogni giorno sempre più tangibile. La celebre frase di Pirandello, citata nel romanzo “Uno, nessuno e centomila”, risuona come una profezia: “Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti”.
Il significato della citazione è noto: l’autore siciliano ci ricorda di guardarci sempre dall’apparenza delle persone. Fuor di metafora, si critica una società che alla sostanza preferisce l’apparenza fatta di molti finti sorrisi, di un perbenismo ipocrita e vacuo. Nelle opere di Pirandello il tema della maschera ritorna spesso poiché si lega strettamente alla percezione dell’identità. Vivere nel mondo significa dunque assumere diverse maschere come se si recitasse come attori su un grande palcoscenico.
È ciò che Luigi Pirandello definisce poeticamente la “recita del mondo”. C’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno.
Salvatore Giacalon