Di naufragio in naufragio. Non è forse anche questa una guerra maledetta che semina morte e che fino a ora, secondo l’OIM, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni, ha prodotto circa 50 mila morti negli ultimi dieci anni nel grande cimitero del Mediterraneo? Di chi è la responsabilità? Chi ha scatenato questa barbarie, se non l’indifferenza e i veti giunti al punto da limitare gli interventi di soccorso in mare delle ONG dettando regole contro ogni principio elementare di aiuto umanitario? “Bisogna fermare le partenze” dicono fonti governative.
Chiunque abbia fatto questa affermazione in occasione dell’ennesima tragedia consumatasi nel grande cimitero del Mediterraneo, che sia uomo o donna delle istituzioni, che sia un cittadino qualunque che abbia la fortuna di abitare da quest’altra parte del mondo, è sicuramente o in mala fede o afflitto dall’ignoranza perché ignora o fa finta di ignorare la grande tragedia. Immaginate solo per un attimo, chiudendo gli occhi, di vivere dove dominano guerre, massacri, fame e ogni forma di tortura.
Ci fosse anche una sola possibilità di speranza di portare in salvo i vostri figli, seppur con viaggi a rischio organizzati da uomini senza scrupolo, che cosa fareste? Troppo comodo giudicare a pancia piena o magari dietro una tastiera facendo distinguo, inventando ogni tipo di falsità. Troppo comodo giudicare dal pulpito istituzionale o nelle proprie case riscaldate, ipocritamente fingendo pietà ma sempre pronti a vomitare frasi senza alcun senso o lontane da ogni realtà. La guerra è alla base di quelle fughe da luoghi che mai alcuno vorrebbe lasciare ma che la speranza di continuare a vivere induce ad abbandonare, a tentare con ogni mezzo aggrappandosi alla vita, cedendo anche ai ricatti.
Una guerra infame per certi aspetti peggiore di quelle combattute sul campo dove la disperazione non conosce ostacoli. Inutile nascondersi dietro scafisti senza scrupoli e poi minacciare nei fatti organizzazioni che, piaccia o meno, salvano vite contrariamente a quanti hanno un carico di responsabilità istituzionale. Fermiamo le guerre è il grido di chi è contro la violenza e per il rispetto dell’articolo 11 della Costituzione. «Io non sono pacifista.
Io sono contro la guerra perché la guerra non si può umanizzare, si può solo abolire» così il mai dimenticato Gino Strada che ha dedicato tutta la sua vita assieme ai suoi collaboratori di Emergency a chi subisce l’orrore dei conflitti. «Il disarmo non è una utopia» ha più volte gridato Papa Francesco ma la spirale della corsa agli armamenti non conosce sosta e i costi di ammodernamento e sviluppo delle armi, non solo nucleari, rappresentano una considerevole voce di spesa per le nazioni, al punto da dover mettere in secondo piano le priorità reali dell’umanità sofferente: la lotta contro la povertà, la promozione della pace, la realizzazione di progetti educativi, ecologici e sanitari e lo sviluppo dei diritti umani ma fabbricare armi è finanza, economia ed allora come fermare le guerre? La guerra esiste fin dalla creazione delle prime civiltà, soprattutto per esigenze di difesa o espansione territoriale con i popoli vicini.
Tuttavia, per le sue drammatiche conseguenze viene spesso ritenuta una creazione irragionevole e egoista dell’uomo, usata per risolvere i conflitti in maniera violenta al posto della diplomazia. Le guerre recenti, ad esempio, non sono servite a nulla, se non ad aumentare risentimento e violenza. In molti hanno cercato di opporsi alla guerra tramite la via della pace, del dialogo e del ragionamento: si tratta di figure di rilevanza mondiale come Martin Luther King, che cercò di opporsi alla discriminazione razziale tramite i suoi discorsi che predicavano l’amore e l’intesa.
Ma è anche il caso di Gandhi, che con la non violenza ha lanciato una sfida al mondo dimostrando che si può vincere anche la più dura battaglia senza ricorrere alle armi. Oppure quello di Madre Teresa di Calcutta, che, tramite i suoi gesti, trasmetteva messaggi di amore e cura verso gli ultimi. Importanti letterati come Giuseppe Ungaretti sono stati poi testimoni della brutalità della guerra, che può essere combattuta solo con l’unione tra le differenti popolazioni. “Non sono sostenibili i discorsi politici che tendono ad accusare i migranti di tutti i mali e a privare i poveri della speranza” è il monito di Francesco. La pace, al contrario, “si basa sul rispetto di ogni persona, qualunque sia la sua storia, sul rispetto del diritto e del bene comune, del creato che ci è stato affidato e della ricchezza morale trasmessa dalle generazioni passate”.
“Nel mondo, un bambino su sei è colpito dalla violenza della guerra o dalle sue conseguenze, quando non è arruolato per diventare egli stesso soldato o ostaggio dei gruppi armati” ricorda poi il Papa alla fine del Messaggio, in cui rievoca anche il 70º anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, adottata all’indomani del secondo conflitto mondiale.
Salvatore Giacalone