La moto era lì ferma, investita dall'unico raggio di sole che inebriava la collina di Tricesimo.
Era lì, mi chiamava, come a dire: “da quanti anni vorresti correre e salire con me?”.
“Da troppi anni”, pensai!!!
“Ed una cosa così semplice e banale, la stai rimandando all'infinito?”, mi dissi improvvisamente.
In realtà sto rimandando all'infinito una gran parte dei miei sogni, con i miei se e miei non posso, con il mio ardente desiderio di adattarmi all'altro.
Adesso che l'altro aveva manifestato la sua totale volontà di non volere più adattarsi a me, mi resi improvvisamente conto che era arrivato il momento di fare le miriade di piccole grandi cose, che fanno di una vita, una vita felice.
Volevo correre, volare, saltare di palo in frasca, con la stessa leggerezza di una farfalla e col medesimo intrinseco desiderio di pungere come un'ape.
Volevo vivere le cose, attraversarle, diventare parte di loro, questo era sempre stato il mio desiderio più atavico, più recondito.
Non volevo più sentirmi in colpa per il semplice fatto di avere troppi desideri.
Avevo realizzato, con l'esperienza, che i desideri non sono mai troppi. Al contrario, spesso sono troppo pochi.
La vita è troppo bella, troppo intensa per accontentarsi di assaggiare la vita, di rimanere semplicemente in superficie.
Volevo provare la profondità della vita e assaggiare la leggerezza dell'essenza.
Io finalmente sola, ma mai come adesso in ottima compagnia di me stessa!
di Rita Vita MARCECA
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com