Ultime della sera: “L’uomo nascosto”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
04 Settembre 2020 18:28
Ultime della sera: “L’uomo nascosto”

Ho conosciuto Giorgio Diritti nel 2009 in un cinema di Brescia, città dove allora vivevo, in occasione della presentazione de “il vento fa il suo giro”, il suo film d’esordio come regista di lungometraggi. La sua formazione cinematografica è avvenuta nell’ambito di quella scuola lombardo-emiliano-veneta attraverso la collaborazione con registi come Olmi, Avati, Piavoli, Brenta ecc. Un cinema (quello padano) di carattere contemplativo, oserei dire meditativo, basato sui sentimenti legati alla terra e a quella cultura che deriva dalla civiltà contadina, alla grande pianura silente, alle montagne, al grande fiume.

Così lontano dall’industria, dalla moda, dalle fabbriche e dal clamore del nord che le generazioni di oggi, dalla “Milano da bere” in poi, sono abituate a conoscere. Ho avuto la fortuna di frequentare per diversi anni il regista bresciano Franco Piavoli, come artista e come amico, e la possibilità di guardare da vicino questo affascinante universo che è il cinema lombardo. “Il vento fa il suo giro” s’impose sin dalle prime proiezioni nei festival e nelle rassegne. Il gradimento del pubblico ne fece correre di bocca in bocca le qualità e le novità.

Ben presto divenne un caso nazionale rimanendo in proiezione in un noto cinema milanese per un anno e mezzo. Quella sera ricordo che c’era molta attesa, e la sala era quasi piena. La gente accolse il film con entusiasmo e, alla fine della proiezione, la maggior parte di loro si trattenne in sala per scambiare commenti e discutere sul film. Io e Andrea decidemmo di uscire e, una volta nell’atrio, riconobbi Diritti davanti all’ingresso del cinema, appoggiato allo stipite della porta, con lo sguardo assorto nei suoi pensieri.

Ci avvicinammo e iniziammo a parlare del suo film e del cinema italiano. Ricordo che lui citava i suoi maestri più famosi ma io gli risposi che il suo film mi ricordava piuttosto il cinema di Mario Brenta. Lui mi guardò con gli occhi sgranati come se avesse visto un marziano e mi rispose: “si, però Brenta non lo conosce nessuno, mi fa piacere che tu lo conosca”. Sono passati diversi anni da allora, ho seguito con affetto la sua carriera cinematografica e proprio di recente mi è capitato di vedere il suo ultimo film “volevo nascondermi”, il racconto biografico sulla vita del pittore  Ligabue.

Sin dalle prime inquadrature si intuisce che Diritti non intende raccontare la vita dell’artista naif italiano più famoso, ma piuttosto farci percepire, per quanto possibile, la grande sofferenza e la vulnerabilità di un uomo fuori dal comune, che cerca di nascondere la propria “malattia”, che ha una tremenda paura di essere visto nella sua sofferenza, nelle sue emozioni più fragili. Quando scopre che anche lui possiede delle straordinarie qualità, che anche lui ha un posto, un ruolo nella società diverso da quello dello “scemo del villaggio”, e che soprattutto il suo talento è un dono prezioso, allora impara mostrarsi, vuole che le meraviglie del suo essere vengano viste.

È un modo per essere accettato, in qualche modo, per occupare quel posto nel mondo che ciascuno di noi ha e che inizialmente gli sembrava negato. Il distacco dalla madre naturale viene vissuto, nella sua immensa fragilità, come un doloroso distacco dal mondo, dall’umanità intera. Un figlio perduto del mondo. Ma nella pittura si sente vivo e trova il significato della sua esistenza. Un’esistenza vissuta cercando di nascondere le fragilità del suo essere umano diverso ed emarginato, e cercando di ostentare tutto ciò che lo rende vivo, accettato, realizzato.

Riassumerei il film in una frase che ad un certo punto il protagonista dice ad un amico: “le persone le riconosci subito. Ti accorgi subito quando qualcuno vuol farti del male o quando ti si avvicina senza cattive intenzioni. Proprio come i cani, ti accorgi subito quando un cane vuole morderti. Siamo tutti animali!” Naturalmente, trattandosi della biografia di un pittore, molti sono gli spunti e le sollecitazioni riguardanti l’aspetto estetico ed espressivo, la concezione dell’arte e la pratica della pittura.

Ma qui e ora, mi preme soprattutto evidenziare  la poetica di Diritti, la semplicità dei volti, lo straripante potere della natura, la civiltà del grande fiume fatta di tradizioni, sapori e umanità. Un senso della bellezza e dell’estetica, svincolato orgogliosamente dai canoni stereotipati della “bellezza ufficiale” (la gente è convinta di possedere una propria idea di bellezza e non si rende conto che questa è formata, condizionata e violentata dagli schemi dettati dalle agenzie di moda, dalla pubblicità ecc.).

Non voglio dilungarmi oltre, né elogiare un autore che è riuscito benissimo a trovare il suo spazio, né l’attore protagonista assolutamente perfetto. “Volevo nascondermi” è una dichiarazione d’amore/odio per il pubblico, è la necessità di sfuggire agli sguardi taglienti e la voglia di riuscire a mostrare con orgoglio i propri fiori più belli, quelle gemme rare e preziose che solo pochi possiedono e che non vedono l’ora di poterle condividere col mondo intero. Nell’uscire dal cinema, mi ricordo di lui, solo, in disparte, lontano dalla folla accorsa a vedere il suo film e nascosto dietro il suo profondo silenzio.

“Ogni artista, in realtà, non racconta d’altro che di sé stesso”   Paolo Asaro

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