Ultime della sera: “Leonardo da Vinci”

La riscoperta del tempo e dell’origine.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
16 Luglio 2021 18:30
Ultime della sera: “Leonardo da Vinci”

Se esiste un artista enigmatico senza ombra di dubbio il pensiero di molti va a Leonardo da Vinci. Eclettico e genio in molteplici campi, Leonardo, al giorno d’oggi, viene ancora visto come colui che ha nascosto messaggi disparati all’interno delle sue opere e questa idea ha trovato terreno fertile anche grazie a libri e film che hanno usato le sue opere per la costruzione di fantasie. Ma se guardiamo nel profondo l’artista toscano scopriamo che Leonardo, prima di ogni altra cosa, è stato un grande pittore, fedele alla tradizione e legato alla conoscenza di un’iconografia che non lascia spazio all’immaginazione.

Quando penso a Leonardo da Vinci mi tornano frequentemente in mente dei termini: tempo, tradizione e origine. Il termine tempo è strettamente legato al fare artistico: nei tempi moderni, i nostri, sembra che gli artisti abbiano dimenticato la dimensione temporale; viviamo in un periodo in cui un artista (o qualcuno che viene definito tale) in un anno realizza più di quaranta opere, cosa inimmaginabile secoli fa. Questa produzione frenetica annulla sovente il dilatarsi del tempo utile alla realizzazione di un’opera che è indice di riflessione.

Leonardo era un pittore che si dilungava nella realizzazione dei suoi dipinti e, per fare ciò, sperimentò molteplici tecniche reinventando quelle tradizionali. La pittura di Da Vinci, prevalentemente su tavola o parietale, vede l’utilizzo di colori, quali la tempera grassa, l’olio o l’encausto, su supporti che prevedevano tipi di colori diversi. Il motivo lo si riscontra nel bisogno di Leonardo di guadagnare tempo di esecuzione che potesse garantirgli una riflessione e modifiche alle immagini con tempi umani e non scientifici. 

La tecnica di pittura ad affresco, soprattutto, prevedeva una rapidità di esecuzione che stava stretta all’artista tanto che, nella realizzazione della Battaglia di Anghiari a Palazzo Vecchio a Firenze e nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie a Milano, Leonardo introduce colori e tecniche insolite che, sin da subito, hanno causato danni irreparabili alle sue opere. Basti pensare che la Battaglia di Anghiari, realizzata a inizio del Cinquecento e non terminata, non esiste più, sostituita dagli affreschi del Vasari nella Sala del Cinquecento e che il famosissimo Cenacolo, già poco tempo dopo essere stato terminato, si scrostò dalle pareti del refettorio milanese (in questo caso l’artista utilizzò tempera e olio su due strati di preparazione gessosa stesi su intonaco anziché eseguire un classico affresco).

La precarietà dello stato conservativo delle opere leonardesche sembra, nonostante tutto, non essere soggetta a quel tempo tanto caro all’artista. Perché, a distanza di cinque secoli, il mondo può ancora ammirare i suoi capolavori. Grazie a sapienti restauri gli strati pittorici di Leonardo sono stati messi in sicurezza ma non si presentano perfetti come lui li aveva pensati; essi sono segnati da crepe e distacchi che narrano, come delle ferite, quanto questi abbiano subìto. Un tempo di esecuzione e un tempo di vita, una fragilità artistica che sconfigge il passare dei giorni, quasi come se le opere del genio vinciano siano destinate all’eternità.

Ma per fare tutto ciò Leonardo ha avuto bisogno di conoscere la tradizione; al di fuori di ogni banale pensiero, lui guarda al passato con ammirazione. Non copia l’arte prima di lui, essa è il pilastro su cui edificare una nuova arte e per essere nuovi, dobbiamo affondare le nostre radici sulla storia. Così facendo Leonardo scopre e ci fa riscoprire quanto stava prima, ci porta in un viaggio alla ricerca dell’origine che è termine ben diverso dall’originalità. Sempre guardando ai nostri giorni, vediamo come gli artisti moderni abbiano bisogno di essere originali, intendendo con tale aggettivo la necessità di creare scalpore, a volte scandalo, non guardando al principio dell’arte.

Da che mondo è mondo non può esistere qualcosa senza un passato. Ecco che, a fronte di un’iconografia impeccabile, possiamo capire che Leonardo non si limita a rappresentare dei soggetti a caso in maniera enigmatica ma, sapientemente collocati in uno scenario che palesa la sua firma, questi personaggi narrano la veridicità della storia. Una delle opere che maggiormente si presta a questa comprensione è la Vergine delle Rocce custodita al Museo del Louvre di Parigi. Come spiegato dal prof. Rodolfo Papa, uno dei massimi conoscitori di Leonardo da Vinci, in un’intervista realizzata nel 2019 (anno in cui si è celebrato il V centenario della morte dell’artista), nell’opera sopra citata non si vede semplicemente la Vergine, Gesù Bambino, San Giovannino e un Angelo inseriti in un contesto naturale che dà il nome alla tavola ma siamo di fronte alla manifestazione e narrazione della Visitazione.

La grotta in cui sono inseriti i personaggi è un richiamo alla Vergine (definita nel libro di Daniele la montagna da cui si distacca la pietra angolare, cioè Cristo) e rappresenta iconograficamente il grembo materno sia di Maria sia di Elisabetta. I due bambini, uno inginocchiato e l’altro benedicente, palesano il dialogo e la relazione dei due feti nei grembi materni nel momento dell’incontro tra le due cugine. Non solo, per confermare quanto sopra citato brevemente, sempre il prof.

Papa fa riferimento al Lignum Vitae di San Bonaventura che giustifica la rappresentazione contro ogni errata interpretazione. Un breve accenno questo che ci deve portare ad una riflessione non solo su Leonardo ma sull’arte in generale. Quando guardiamo agli artisti del passato non dobbiamo farlo con la nostalgia di qualcosa che non c’è più, tantomeno con il pensiero che per fare arte sia necessario copiare totalmente ciò che è già stato realizzato. Dobbiamo invece pensare di riappropriarci di due aspetti basilari nella nostra vita: il tempo.

In un periodo storico in cui tutto è veloce e immediato, rallentare e prendersi il tempo di riflettere ci porta alla possibilità di lasciarci ispirare ed agire con una consapevolezza e determinazione diversa. L’origine. Se abbracciassimo l’idea che per essere qualcuno o dire qualcosa abbiamo bisogno del nostro passato, di riscoprire la radice di tutto e di noi stessi, allora si tornerebbe a fare arte, a fare comunicazione, nella consapevolezza che ogni espressione, artistica e non, deve guardare alle necessità del proprio tempo, trasmettere un messaggio fiducioso nell’avvenire poggiando saldamente sulla fedeltà e verità delle sue radici.

di Valentina ARDUINI

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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