Seduta di fronte allo schermo bianco del pc, attendo l’ispirazione per il mio articolo del blog della sera.
Mi passa davanti l’anno appena trascorso, che mi ha investito in pieno con una ventata di inattese opportunità. Che meraviglia quando, nello scorrere lento dei giorni, arriva l’imprevisto che spariglia le carte, che scompiglia e rimescola progetti e priorità, che ti spiazza e ti confonde come una nevicata in una tiepida giornata di primavera!
Realizzo che sono passati 365 giorni esatti da quella telefonata che ha totalmente stravolto l’ultimo anno della mia vita.
Era il sei gennaio, la sera dell’Epifania. Mi ero lasciata alle spalle un anno difficile, sul quale la pandemia aveva messo il suo carico da undici.
Ne iniziavo un altro navigando un po’ a vista, con tutte le incertezze e le paure di chi non sa in che direzione sta andando e cosa ancora aspettarsi. Destino che condividevo con una gran bella fetta di umanità, peraltro.
Squilla il telefono. “Ciao, sono Peppe Ciulla, non ci conosciamo, ho intenzione di scrivere un libro a quattro mani sul sequestro dei nostri pescatori e mi hanno fatto il tuo nome”. Il preambolo era più lungo, per ragioni di spazio sintetizzo.
Peppe Ciulla. Ah! I neuroni, un po' ingrippati dopo questo anno di letargo, iniziano a mettersi in moto, ne avverto lo scricchiolio.
Ciulla, giornalista, Un’estate in Grecia, La7, Tagadà, in un nanosecondo chiamo a raccolta tutte le informazioni che ho. E…chiama me??
“Sai - continua, mentre io trattengo il fiato nel timore che anche un suono uscito male possa fargli crollare questa inspiegabile fiducia in me, una Sconosciuta - ho già proposto il libro a Bompiani, sono entusiasti, lo pubblicheranno nella collana Munizioni di Roberto Saviano. Ti va di imbarcarti in questo progetto? Ho bisogno di qualcuno che mi aiuti giù a Mazara, io non posso muovermi da Roma, mi piacerebbe che fosse una donna. Tu saresti perfetta, mi sono consultato col sindaco e lui pensa che hai la sensibilità giusta, che scrivi bene.”
Libro, Bompiani, Saviano…le sinapsi arrugginite tornano a lavorare, a rilasciare neurotrasmettitori.
Penso che sia uscito di senno, o che abbia bevuto, ma emergo dall’apnea e parlo.
Come in trance sento la mia voce uscire dal corpo, rispondere con entusiasmo che è fantastico, che ne sarei molto felice.
Chiudo e la prima cosa che penso è che sono stravagante e incosciente, che non conto mai fino a dieci prima di rispondere, che mi sono imbarcata in una cosa più grande di me, che rovinerò la brillante carriera di Peppe, che trascinerò Saviano e tutta la Bompiani – la casa editrice di Umberto Eco! - in una imbarazzante e stratosferica malafiura.
Perché io, diciamoci la verità, non ho la più pallida idea di come si scriva un libro. Per Bompiani, poi, che è addirittura entusiasta di un libro che non è stato ancora scritto! E che dovrei scrivere anche io, che ovviamente non so neanche da dove cominciare. Credo ce ne sia abbastanza per disperarsi, ed è quello che faccio.
Però, però… è anche vero che ho sempre desiderato scrivere un libro, che gli amici me lo chiedono da una vita, e che io da sempre attendo la storia giusta da raccontare.
Adesso la storia c’è, e sta pure bussando alla mia porta.
E per quanto io mi senta piccola e impreparata di fronte alla sua grandezza (perché è una grande Storia di umanità, coraggio e ingiustizia) e di fronte a tutti gli attori di questo bel progetto editoriale - Giunti, Bompiani, Roberto Saviano, Peppe Ciulla, i loro libri, le trasmissioni televisive, io voglio provarci.
E pazienza se alla fine non sarò all’altezza, niente sarà peggio del rimpianto di averci rinunciato, non ascolterò questa voce che fa capolino nella mia testa dicendomi di stare attenta, di non lanciarmi nel vuoto così, senza paracadute.
E quindi no, non lo richiamerò per dirgli di averci ripensato, che non ne sono capace, che non me la sento. Mi ci butto con tutta l’incoscienza di cui sono capace.
Non è forse vero che sono i desideri la cosa più importante che abbiamo?
Ecco, nell’annus horribilis per eccellenza ho la possibilità di realizzare un desiderio, lo trasformerò in annus mirabilis. Quando mi ricapita?
Il resto è una storia che io e Peppe abbiamo raccontato decine di volte, nelle interviste, durante le presentazioni. Perché il libro poi lo abbiamo scritto davvero. Si chiama “La cala” e adesso va nel mondo da solo, sotto il nostro vigile sguardo. Non è stato semplice all’inizio. La mia inesperienza, la zona rossa, l’impossibilità di vederci, di confrontarci guardandoci negli occhi, la difficoltà di incontrare i pescatori e gli altri protagonisti, le lunghe telefonate, le chat, le nottate passate a scrivere, rileggere, controllare e confrontare le date, gli eventi, le notizie, cucire le storie, incrociare le parti, limare i capitoli, costruire i dialoghi, rendere omogenea la nostra scrittura, inventarci un comune stile narrativo, tutto mi sembrava così complicato, ma alla fine aveva ragione lui: il libro si è scritto da solo.
Nel mezzo, una straordinaria intesa professionale e umana tra noi e l’incontro con persone meravigliose, piene di coraggio, di dignità e di una straripante umanità: i pescatori, le loro famiglie, gli armatori.
E poi Rosetta. Lei merita un capitolo a parte, e non riesco a pensare alla meravigliosa donna che è senza commuovermi. Non aggiungo altro, lei sa.
“La cala” è uscito a settembre, è stato apprezzato, ha ricevuto recensioni bellissime.
La gente a Mazara mi ferma e ci ringrazia: chi ci ha ritrovato l’infanzia perduta, chi il vissuto della propria famiglia, chi un’identità che aveva rimosso. Qualcuno dice che ha scoperto la storia di una città, che pur essendo la propria, non conosceva, qualcuno altro ha ritrovato personaggi, aneddoti o tradizioni che popolavano la sua infanzia. C’è chi dice che gli ricorda Verga e i Malavoglia, chi ne apprezza lo stile narrativo sui diversi piani temporali, chi mi racconta di aver pianto di rabbia e di dolore, chi si commuove, chi rivede in Rosetta la propria madre, zia, nonna. Poi c’è chi si aspettava altro, chi lo immaginava diverso, ma nessuno resta indifferente.
In questi quattro mesi abbiamo portato in giro la vicenda umana dei nostri pescatori con un sentimento di rabbia e speranza insieme. Abbiamo parlato nelle librerie, nei teatri e altri luoghi di cultura, negli studi televisivi e nelle trasmissioni radiofoniche, siamo stati presentati e intervistati da giornalisti quali Luca Telese, Riccardo Iacona, Francesca Mannocchi, Pierluigi Diaco e tanti altri. “La cala” ha varcato anche le porte del Vaticano, portato in dono da alcuni pescatori a Papa Francesco, è entrato nelle scuole e continuerà a farlo nei prossimi mesi.
Sento una grande gratitudine, sia verso i lettori che hanno apprezzato il libro che verso i protagonisti che si sono raccontati, e voglio chiudere con le parole che ha usato Francesca Mannocchi, giornalista e donna straordinaria, quando ci ha presentati a Roma, libreria Eli:
“La cala l’ho letto due volte. La prima come un saggio, col sottotitolo, con la curiosità della giornalista che conosce quel Paese e quelle carceri verso l’inchiesta giornalistica. La seconda volta l’ho letto come un romanzo, su una terrazza di fronte al mare di Mazara in cui sono stata ospite due settimane fa. Mi sono immersa nella città, nella sua storia, nelle sue tradizioni, ne ho respirato l’odore: dei vicoli, delle piazze, del mare, del fiume, del pesce, della casbah. Ho amato il personaggio di Rosetta che mi ha ricordato mia nonna, queste donne temprate dalla fatica di vivere, che hanno vissuto di lavoro e di famiglia e hanno scalato montagne a mani nude, senza arrendersi mai. Per questo non so dire se è un saggio o un romanzo, ma è un’opera bellissima, e va letta.”
di Catia CATANIA
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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