Ultime della sera: “Giovanni ed Enzo, storia di un amore proibito”

Redazione Prima Pagina Mazara
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19 Febbraio 2021 18:30
Ultime della sera: “Giovanni ed Enzo, storia di un amore proibito”

di Catia CATANIA Conobbi Giovanni ed Enzo intorno alla metà degli anni '90. Erano i miei vicini di casa palermitani. In realtà il vicino era Giovanni, ci aveva affittato una porzione della sua casa. Erano gli anni della primavera palermitana, il sindaco Orlando (ebbene sì, c'era sempre lui) si era messo in testa di recuperare il centro storico dopo decenni di abbandono, i palermitani avevano deciso di investire acquistando case vecchie e abbandonate da ristrutturare e gli studenti universitari avevano ridato vita a quelle antiche balate, animandone la vita culturale e le serate con i primi timidi segnali di movida.

Giovanni era proprietario di un grande appartamento di 180 metri quadri al centro del quadrilatero tra la via Roma, piazza Rivoluzione, piazza Sant'Anna e la Focacceria San Francesco. Si trovava in uno stabile degli anni quaranta che era sorto sulle rovine del palazzo nobiliare dei principi di Valguarnera, proprio di fronte il magnifico palazzo Ganci che aveva ospitato le riprese del film “Il gattopardo” di Luchino Visconti (Giovanni ci avrebbe parlato tanto di quel film, dove ebbe un ruolo di comparsa, con l'emozione che riaffiorava ricordando le giornate trascorse con Alain Delon, Burt Lancaster, Claudia Cardinale).

Dall'altro lato della strada, proprio di fronte, sorge lo splendido Teatro Santa Cecilia, ristrutturato proprio negli anni in cui vivevamo là e ad una cinquantina di metri la Galleria d'arte moderna. L'appartamento aveva tetti alti con le volte decorate e i pavimenti in cementine. Inoltre, una vista meravigliosa sui tetti e le cupole del centro storico. Io e le mie amiche ce ne innamorammo. Quella casa era troppo grande per Giovanni, che viveva da solo. Così pensò di alzare una parete per separare due corridoi, tenere due stanze per sè e, grazie alla presenza di due porte d'ingresso, divise la casa in due.

I veri gioielli erano però i mobili che ci aveva lasciato, tutti provenienti dalla vecchia fabbrica di mobili liberty Ducrot di Palermo dove aveva lavorato in gioventù. Quando lo incontrai per la prima volta Giovanni aveva già 78 anni, Enzo era suo coetaneo. Erano molto diversi tra loro. Bello, alto, volitivo e con un'innata eleganza il primo. Basso, con gli occhiali e più ordinario il secondo; tuttavia di una gentilezza antica, anche lui un signore d'altri tempi e fino alla fine innamorato di quell'uomo altero e aristocratico, che da giovane doveva essere stato bellissimo.

Giovanni ci aveva presentato Enzo come suo fratello, ma capimmo subito che non vi era alcuna evidenza di parentela tra i due (a cominciare dal cognome diverso per continuare con il distacco della sorella di Giovanni che quando faceva visita al fratello si rivolgeva ad Enzo dandogli del lei). Nei cinque anni che vivemmo in quella casa rispettai la loro riservatezza e parlando con Giovanni indicavo sempre il signor Franco come “suo fratello”, senza mai fargli intendere di sapere. Li ho conosciuti negli anni della maturità, nel tempo dell'amore adulto e consapevole, quando l'antica passione cede il passo al sentimento solido, all'affetto imperituro, alla certezza di esserci l'uno per l'altro.

La vita per loro era la quotidianità di due persone anziane, scandita da gesti che si ripetevano ogni giorno uguali. Franco arrivava al mattino, Giovanni metteva su la caffettiera e si perdevano nelle loro lunghe chiacchierate la cui eco mi arrivavano attraverso la sottile parete che ci divideva. A volte discutevano animatamente, ma non li ho mai sentiti litigare sul serio. Avevano i loro rituali: la mattina uscivano a fare la spesa, i primi tempi c'era anche il barboncino di Giovanni al seguito, poi il pranzo.

Poche volte ho visto Enzo rimanere a mangiare a casa di Giovanni e in ogni caso già nel pomeriggio si separavano, non cenavano mai insieme, ognuno già al calar del sole era nella propria casa a concludere da solo la giornata. Impensabile dormire insieme, c'era una prassi ormai consolidata da una vita e un pudore dei gesti e dei comportamenti che rimase tale fino alla fine. Quell'amore proibito, nascosto agli occhi della gente, tenuto segreto per tutta la vita, doveva rimanere tale per sempre. Nessuna concessione allo scandalo ma neppure un'apertura alla modernità, a quel mondo gay che in quegli anni cominciava a venire allo scoperto e si era già preso certi ambienti, le strade e i locali del centro, soprattutto tra l'élite intellettuale e gli artisti.

Ma di tutto questo Franco e Giovanni, data l'età, non si era neppure accorti.  Giovanni aveva 87 anni quando ci lasciò. In realtà aveva iniziato a lasciarci molto prima, perché la memoria e la lucidità avevano già da un po' cominciato a spegnersi. Enzo lo accompagnava e gli stava vicino, tenendolo per mano in quest'ultimo tratto del loro tempo insieme. Ma ad un certo punto, i nipoti di Giovanni, intuendo che lo zio non poteva più stare da solo, lo trasferirono in una casa di cura, dove morì, dopo un periodo in cui provò a riadattarsi ad una vita che non era più la sua e ad un mondo che non gli apparteneva.

Non so adesso dove sia il signor Franco, come si sia reinventato la vita senza il suo Giovanni. E soprattutto non so come sarebbe adesso la loro vita, ora che potrebbero vivere quella storia alla luce del sole e persino sposarsi. Mi chiedo se siano stati felici fino in fondo, se è vero che nei segreti si nasconde la felicità, o se avrebbero desiderato altro per loro, magari raccontare il loro amore, condividerlo con le persone care. So che però in ogni coppia gay che incontro, in chi vede finalmente  riconosciuti i propri diritti e può vivere i sentimenti in libertà, rivedo Enzo e Giovanni, e il sacrificio del loro amore proibito tenuto nascosto per una vita intera.

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna. Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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