Ultime della sera: “Chicchi di sole”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
16 Settembre 2020 18:23
Ultime della sera: “Chicchi di sole”

Questi sono i giorni in cui le nostre strade si colorano di mosto. Trattori, furgoni, camion ci hanno invaso rallentandone la viabilità. Disegnano una passatoia che si srotola davanti ai nostri occhi ed intesse strade. Come un gioioso filo di colore  percorre trazzere, campagne e Borghi, paesini e città, disegnando la via del vino. Come fosse un lungo abbraccio che da noi, eredi di questa tradizione, parte e raggiunge tutto il mondo. Si perpetua così la festa in cui i chicchi di sole vengono portati a macinare,  perché si compia ancora una volta il miracolo che della terra fa sgorgare il vino.

Festa radicata nella storia dei nostri territori, capace di coniugare oggi più che mai la propria origine con l’innovazione, il  business e la creatività. La scoperta che i processi di fermentazione danno origine a una bevanda molto diversa dal semplice succo è avvenuta ancor prima che fosse inventata la scrittura. La coltivazione si fa risalire, in Sicilia occidentale, al popolo dei Fenici tra l’VIII° e il VII° secolo a.C. I Greci rimasti per circa 500 anni VIII° secolo, svilupparono la coltivazione di vitigni anche nella Sicilia orientale.

Sotto i Romani nel III° sec. a.C. le colture dell’isola  venivano esportate in grandi quantità, come la Malvasia e il Mamertino. Con l’avvento del Cristianesimo primi secoli d.C. le terre Siciliane passarono sotto il controllo della Chiesa che sostenne la produzione del vino. Invasa dai barbari nel ( V° sec. d.C. ), la produzione ebbe una battuta d’arresto. Successivamente, arrivando i Musulmani nell’800 d.C.  osservanti delle leggi del Corano che vieta l’uso di bevande alcoliche, la produzione scomparve quasi del tutto ma non avendola vietata in modo fermo e deciso, vennero prodotte uve pregiate da tavola come lo Zibibbo.

Con i Normanni nell’anno 1000, la coltivazione si riprese, ma il malcontento e troppe tasse determinarono la decisione di non piantare più vigneti. In seguito con gli Aragonesi e successivamente con gli Spagnoli la produzione si riprese. L’Inglese Woodhouse, nella seconda metà del 1700, ebbe L’intuizione di commercializzare un vino prodotto nel Trapanese chiamandolo Marsala in ossequio al posto dove aveva attraccato. Una grave malattia delle viti, alla fine del 1800, fece si che si dimezzassero.

Agli inizi del 1900, grazie all’innesto di viti Americane, si cercò di risolvere il problema e si cominciarono a vedere dei miglioramenti. Molti contadini, costretti dalla fame, con la fine del conflitto mondiale e negli anni ‘50 e ‘60 abbandonarono le terre di Sicilia per cercare fortuna fuori. Con la nascita delle Cantine Sociali, chi era rimasto, ebbe l’opportunità di riscattarsi da questo stato di povertà. Il Mercato Unico Europeo e la Denominazione di Origine Controllata, nel ’70, decretarono il vero boom dei vini siciliani e la diffusione della cultura enogastronomica .

Senza volerci atteggiare a grandi pensatori, ma con la voglia di comprendere, il vino è di per sé stesso un alimento, occasione di formazione di legami sociali o di condivisione di un piacere, cioè è un’opportunità sociale. Un cibo o un vino però vanno oltre il loro semplice essere ‘alimenti’, facendo riaffiorare in noi ricordi ed emozioni. La storia ci insegna che, il ruolo del vino era molto significativo, gli si è dedicato addirittura un dio, Dioniso, il più folle e bizzarro dell’intero pantheon.

Ai tempi di Socrate, nel simposio, il vino non era più semplice bevanda, ma un vero e proprio nettare della conoscenza, dono degli dei. Noè inaugura la coltivazione della vite e il primo miracolo di Gesù è la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana. E sempre il vino si trasfigura, durante l’Ultima Cena, nel sangue di Gesù. Nelle parole di Cristo, in questa occasione, c’è però anche una predizione: egli berrà ancora con i suoi discepoli, ma nel regno celeste.

Ancora una volta il vino è un compagno fondamentale, dopo aver superato un momento di dolore, per celebrare la gioia ritrovata. Questa mia, vuole essere una narrazione che racconta di un territorio fatto sì del suo vino, ma anche di tutta la cultura che è capace di esprimere e continuare a donare al mondo. Parole le mie, certo ma le parole si sa pesano più del valore di mercato. Farsi domande è dunque fondamentale anche nel business e, di conseguenza  anche la filosofia, “scienza” della conoscenza.

Ma la filosofia fa il paio con il pensiero e il pensiero è imprescindibile si parla di sviluppo. Il bisogno di interrogarsi, in me non è mai mutato. Il tempo, al massimo,  ha cambiato le risposte.   Antonio Carcerano

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