“Teatro, amore mio”. “Cavalleria Rusticana” del maestro Giovanni Verga

Nella rubrica settimanale un’opera dedicata al dramma “Cavalleria rusticana” del fondatore del verismo

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
02 Marzo 2022 15:00
“Teatro, amore mio”. “Cavalleria Rusticana” del maestro Giovanni Verga

Questa settimana per la rubrica “Teatro, amore mio”, vi proponiamo “Cavalleria Rusticana”. Cento anni fa il 27 gennaio 1922, si spegneva nella sua Catania, Giovanni Verga, uno degli autori più importanti del panorama culturale italiano. Verga trascorse gli ultimi quindici anni della sua vita in ritiro nella sua abitazione catanese di via Sant’Anna, scrivendo poco o nulla, sentendo di aver perso la forza ispiratrice alla base della sua scrittura. Morì all’età di ottantun anni a seguito di un’emorragia cerebrale. Oggi riposa nel “viale degli uomini illustri” del Cimitero monumentale di Catania. Giovanni Carmelo Verga, oltre che scrittore, è stato anche drammaturgo e fotografo. Per via delle sue opere e del suo pensiero, Giovanni Verga è considerato il maggiore esponente della corrente letteraria del Verismo.

Amore e morte nel teatro verista di Verga che si impose con le scene popolari del dramma “Cavalleria rusticana”. Composto nel 1883 e rappresentato al Teatro Carignano di Torino nel 1884, riscosse un grande successo anche grazie all’interpretazione di Eleonora Duse, una tra le più importanti attrici teatrali dell’epoca. Nel 1890 il compositore Pietro Mascagni ricavò dal dramma un’opera lirica che ancora oggi viene rappresentata nei teatri di tutto il mondo. La cronaca sul palcoscenico. Turiddu, ritornato dal servizio militare, trova Lola, la donna che lui ama, sposata a compare Alfio. Per dispetto, il giovane inizia a corteggiare Santuzza, in modo da far ingelosire Lola, che cade nel tranello e diventa sua amante. Santuzza, per vendetta, rivela ogni cosa a compare Alfio, che per cancellare l’offesa sfida Turiddu a un duello rusticano e lo uccide.

La rappresentazione di passioni elementari e violente, ambientate nel mondo popolare del Sud, colpì la fantasia del pubblico borghese del Nord: per molto tempo tutta la Sicilia parve fotografata nel gesto di Turiddu che morde l’orecchio a compare Alfio, simbolo della sfida all’ultimo sangue. Verga scelse l’italiano, ma con qualche sfumatura del dialetto locale, cui accostò termini più comprensibili al pubblico, anche se talvolta contrastanti con l’ambientazione del dramma. Compare Alfio, per esempio, chiama la noiosa zia Filomena «pittima» (persona noiosa), con un evidente flessione toscana, e definisce se stesso «vetturale» (“carrettiere”) : «è il mondo popolare e siciliano – scrive Barberi Squarotti – come può essere rappresentato sulla scena del teatro, che ha davanti a sé spettatori borghesi che si aspettano vetturali e giovani siciliani e vicende di onore e di amore e di adulterio proprio nei termini e con le battute che il Verga attribuisce ai suoi personaggi» Per andare incontro al gusto del pubblico, Verga eliminò inoltre dal dramma il motivo economico, che nella novella era il motore dell’azione (Turiddu patisce la sua inferiorità economica rispetto a Alfio), e fece del triangolo amoroso, con Santuzza sedotta e abbandonata (di minor rilievo nella novella), l’elemento portante.

Verga considerava il teatro un’arte più limitata rispetto alla narrativa. Riteneva che l’immediatezza del contatto tra opera e pubblico, venisse compromessa dalla presenza dell’attore e che i lavori teatrali dovessero necessariamente tendere alla semplificazione, dal momento che il pubblico in sala non ha tempo per riflettere, come accade invece nel corso della lettura di un’opera narrativa. A tal proposito egli osservava: «Ho scritto pel teatro, ma non lo credo certamente una forma d’arte superiore al romanzo, anzi lo stimo una forma inferiore e primitiva, sopra tutto per alcune ragioni che dirò meccaniche.

Due massimamente: la necessità di scrivere non per un lettore ideale come avviene nel romanzo, ma per un pubblico radunato a folla così da dover pensare a una media di intelligenza e di gusto, a un “average reader” [lettore medio] come dicono gli inglesi. E questa media ha tutto fuori che gusto e intelligenza; e se un poco ne ha, è variabilissima col tempo e col luogo» . Però, con i suoi personaggi presi dal vero e il suo linguaggio popolare, il teatro verista diede un colpo decisivo al grigiore del dramma borghese, oltre a fornire una felice alternativa alla sua gamma di personaggi, in genere altolocati, e al suo linguaggio ricercato, come nei drammi di D’Annunzio, spesso ambientati nel passato.

Salvatore Giacalone

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