Il pubblico ministero della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, Francesca Dessì, ha richiesto nove condanne nei confronti degli imputati al processo relativo all'indagine sulla cosiddetta "mafia dei pascoli" da parte della Guardia di Finanza avviata il 16 dicembre dello scorso anno e che portò a 18 misure cautelari contro presunti mafiosi e loro favoreggiatori a Marsala e Mazara del Vallo. Il processo si svolge con rito abbreviato davanti al Gup Ivana Vassallo. L'udienza si è svolta presso l’aula B2 del bunker del carcere Pagliarelli di Palermo (vedi foto). La pena più severa, pari a 12 anni di reclusione, è stata proposta per Domenico Centonze.
Dieci anni di carcere ciascuno sono stati richiesti per Pietro Centonze (classe 1950), padre di Domenico, per Pietro Centonze (classe 1969), cugino di Domenico, e per Alessandro Messina. Altre richieste includono otto anni di detenzione ciascuno per Pietro Burzotta (genero del defunto boss mafioso Vito Gondola), Paolo Apollo e Ignazio Di Vita; due anni e otto mesi per Antonino Giovanni Bilello e sei mesi per Lorenzo Buscaino. Per altri sette imputati, il giudice Vassallo si pronuncerà il prossimo 10 ottobre sulla richiesta di rinvio a giudizio avanzata dalla Dda per Giancarlo Nicolò Angileri, Giovanni Piccione, Michele Marino, Giuseppe Prenci, Vito Ferrantello, Gaspare Tumbarello e Massimo Antonio Sfraga. Secondo la Dda di Palermo, Pietro Burzotta avrebbe ereditato il ruolo di comando del suocero, assumendo una posizione di rilievo nella gestione delle attività illecite legate al controllo delle aree di pascolo.
Le indagini avrebbero rivelato il coinvolgimento in episodi di turbativa d’asta riguardanti la vendita giudiziaria di terreni tra Mazara e Petrosino, con l'accusa che mafiosi e complici avrebbero tentato di manipolare l'asta favorendo individui vicini all'organizzazione criminale. Dalle oltre 600 pagine dell’ordinanza del gip del Tribunale di Palermo relativa alle attività di indagini della Direzione Distrettuale Antimafia e alla conseguente operazione condotta dalla Guardia di Finanza nel territorio di Mazara del Vallo, emerge anche il tentativo da parte di alcuni soggetti imputati di creare, attraverso un consorzio di produttori, di un vero e proprio "cartello del latte". Le indagini hanno dimostrato che il mandamento di Mazara del Vallo (o meglio quel che ne resta) ha continuato ad occuparsi di una pratica radicata nella cultura mafiosa fin dalle sue origini, cioè l’acquisizione, la gestione la distribuzione dei terreni da pascolo.
Il controllo e la spartizione delle aree di pascolo rappresenta un fatto quasi “ancestrale” caratterizzando l’identità e il potere territoriale dell’organizzazione mafiosa intesa in termini tradizionali che utilizza mezzi rudimentali e si avvale di reati tipici, quali furti, estorsioni, abigeato, danneggiamento e pascoli abusivi; reati posti in essere – come evidenziato nell’inchiesta- con violenze e minacce per affermare e rafforzare il potere sul territorio, e talora in forma silente e non meno pervicace, sfruttando l’autorevolezza ed il prestigio acquisiti nel tempo.