“La mia morte sarà un giorno di festa perché entrerò in un’altra dimensione. Io non sparisco. Resto qui. E sono felice di restare qui, in questo luogo, dove ogni sera vedo il tramonto”. È morto Filippo Panseca. Il suo cuore si è fermato la scorsa notte. Dopo una serata in compagnia del suo amico regista Renato Calò arrivato ieri per realizzare la seconda parte del docufilm su Filippo e la sua dimora pantesca, la Caserma delle Arti e il suo Mausoleo. Ha svegliato l’amico nel cuore della notte, alle 2 e mezza, chiedendogli di essere accompagnato al Pronto Soccorso.
Aveva un dolore alla spalla e colpi di tosse quando si è presentato alla porta dell’Ospedale “Bernardo Nagar”. È stato fatto accomodare su una sedia a rotelle e gli è stata misurata la pressione e la saturazione del sangue. Hanno detto all’amico di aspettare fuori mentre lo visitavano. È scomparso con i medici dietro una porta. E non è più uscito. Un’ora dopo è stata comunicata la sua morte. Infarto fulminante. A nulla sono serviti i tentativi di rianimarlo sia farmacologicamente che manualmente. Ci ha lasciati così. All’improvviso.
“Un uomo che aveva più progetti che ricordi”. Queste le parole dell’amico/compare Aurelio. In poche parole l’essenza di un uomo vivo, dai mille progetti ancora da realizzare nonostante i suoi 84 anni vissuti intensamente e liberamente. Tra Pantelleria, Palermo e Milano. Artista poliedrico, Panseca ha attraversato la storia d’Italia con le sue opere che spaziavano tra arte, design e scenografia. Noto per avere realizzato il Garofano Rosso simbolo del Partito Socialista, era molto amico di Craxi.
Aveva costruito il suo Mausoleo a Pantelleria, doveva voleva che riposassero le sue spoglie mortali, e dove ogni sera vedeva il sole tuffarsi nel mare con le coste d’Africa all’orizzonte. Brindando al suo amico Bettino. “La mia morte sarà un giorno di festa perché entrerò in un’altra dimensione. Io non sparisco. Resto qui. E sono felice di restare qui, in questo luogo, dove ogni sera vedo il tramonto” ci aveva raccontato in una intervista mentre ci accoglieva nel suo monumento funebre. Pioniere dell’arte digitale in Italia, delle riflessioni sulla nuova società dell’informazione, è stato sempre sensibile alle tematiche ambientali.
Realizzava opere biodinamiche fotocatalitiche. Quelle che purificano l’aria. Ed è proprio di pochi giorni fa la sua ultima opera per le strade di Pantelleria. Aveva portato la luna sulla terra nera. Sull’asfalto. Sui muri di cemento. “Una specie di luna”, come diceva lui. “Un cerchio bianco” realizzato con un colore particolare, il biossido di Titanio puro. In una bomboletta che agitava affinché le nanoparticelle si mescolassero bene. Un composto che alla luce del sole si attiva e abbatte gli inquinanti dell’aria.
Un’opera che purifica l’aria come un albero ad alto fusto. Un’opera viva. Il respiro di un albero. Testamento di un uomo che amava la natura e la vita.
Giuliana Raffaelli