Mazara, “Verità per il motopesca Massimo Garau”. Striscione e novità sul naufragio

Promotore Gaspare Bilardello autore del libro dedicato ad una delle più grandi tragedie della marineria mazarese

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
21 Giugno 2024 09:37
Mazara, “Verità per il motopesca Massimo Garau”. Striscione e novità sul naufragio

Da qualche giorno all’incrocio fra la via Carmine e la via San Giovanni, quasi davanti l’ingresso dello storico palazzo del Cavalieri di Malta, campeggia, ben visibile, uno striscione con su scritto “Verità per il Mp Massimo Garau”. L’iniziativa è stata promossa da Gaspare Bilardello autore qualche anno fa del libro “Massimo Garau. La vera storia del naufragio” (edizioni Libridine), che narra le vicende relative al misterioso affondamento del peschereccio mazarese “Massimo Garau” avvenuto nel Canale di Sicilia la sera del 16 febbraio del 1987.

Vogliamo tenere alta l’attenzione sulla vicenda che molti hanno dimenticato ma che ha segnato drammaticamente la storia di molte famiglie mazaresi e non solo. Inoltre, attraverso nuove perizie legali e tecniche, stiamo cercando di riaprire il procedimento per pervenire alla verità su quanto accaduto in quel lontano febbraio di 37 anni fa” –ci spiega Gaspare Bilardello, 62anni, nato a Mazara del Vallo, laureato in Economia, imprenditore, fin da giovane impegnato nel settore della pesca oceanica facendo la spola tra l’Italia e l’Africa occidentale e fra i soci fondatori del Distretto della Pesca Co.S.Va.P.

guidato da Giovanni Tumbiolo. Bilardello, genero dell’armatore del “Massimo Garau”, Giuseppe Quinci, conosce bene la storia del drammatico naufragio del motopesca che, dopo diversi mesi, tra sospetti e ricostruzioni più o meno fantasiose, viene ritrovato ad ottantatrè metri di profondità, adagiato sul fondale tra Tunisi e l’isola di Pantelleria, e solo dopo dieci lunghi anni riportato in superficie e nel porto di Trapani per ulteriori indagini. Il “Massimo Garau”, lungo 30 metri con 190 tonnellate di stazza, attrezzato per la pesca atlantica, era diretto in Senegal, a Dakar.

Il suo libro narra, in una altalena di emozioni, la storia del motopesca e di quell’ultimo suo viaggio, del suo equipaggio, che per cause misteriose cola a picco senza lasciare traccia di sé. Morirono diciannove marinai imbarcati: quattro italiani e quindici africani; in quindici, fra cui 14 extracomunitari, morirono annegati, mentre altri quattro furono trovati assiderati su una scialuppa di salvataggio. La tragedia sconvolse la vita dei familiari delle vittime e dell’intera comunità mazarese.

Come dicevamo, a capo della società armatrice del peschereccio vi era Giuseppe Quinci, meglio conosciuto come “Pino Mazara”, morto il aprile 2017; Pino Quinci è stato uno dei più grandi armatori della storia della marineria mazarese, un vero innovatore nel settore della pesca aprendo alla marineria italiana le nuove frontiere della pesca oceanica che poi furono oltrepassate anche da altri armatori. Nel dicembre 2015 la terza sezione civile della Corte d’appello di Palermo condannò la società armatrice ad un risarcimento di 200 mila euro ciascuno ai 14 eredi delle quattro vittime mazaresi.

La narrazione di Bilardello (in foto di copertina) è condita da storie personali del fondatore della compagnia armatoriale, racconti che si intrecciano con quelli dell’autore del libro che, in parte, anche protagonista della vicenda raccontata. Bilardello non cela il suo coinvolgimento emotivo ma al tempo stesso, attraverso l’analisi di testimonianze inedite e documenti, alcuni mai resi pubblici, ricostruisce la vicenda ponendo in evidenza anche i rapporti fra l’armatore ed i marinai africani imbarcati: “sono stati –sottolinea- mortificati da fantasiose ricostruzioni che li qualificavano come ‘clandestini’, forse utile alla causa, alla loro causa, e per qualcuno anche terroristi.

Al contrario, erano dei marinai straordinari, da anni alle dipendenze della società dalla quale erano stati formati e della quale andavano fieri. La loro permanenza a Mazara era a tutti conosciuta, soprattutto alle forze di polizia le quali controllarono passaporti e libretti di imbarco al loro arrivo e pertanto anche allo loro partenza dal porto nuovo la mattina dello stesso giorno del naufragio. Nella storia del Massimo Garau – ribadisce Gaspare Bilardello- molto è stato omesso, altro è stato aggiunto con una non trascurabile superficialità, confezionando, chi di dovere, una sentenza che lascia molte zone d’ombra circa le reali cause dell’affondamento”.

La vicenda del “Massimo Garau” può esser certamente iscritto nell’ormai lungo elenco dei misteri italiani.

Francesco Mezzapelle 

Ti piacciono i nostri articoli?

Non perderti le notizie più importanti. Ricevi una mail alle 19.00 con tutte le notizie del giorno iscrivendoti alla nostra rassegna via email.

In evidenza