“Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi.”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
03 Febbraio 2020 17:32
“Date al dolore la parola; il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi.”

Ma non potevamo dire niente, niente che  riuscisse a dare un senso a quello che accade, anche ad un passo da noi. Perché il dolore toglie la parola, la svilisce, le fa credere di essere inutile. Ma se le parole scavano le coscienze, aprono gli occhi, raccontano le storie, si assumono la responsabilità di dire ciò che è bene e ciò che è male, allora servono. Servono se si levano da più parti, ma servono anche se sono solitarie. Servono se sono urlate nelle piazze, ma servono anche ( soprattutto?) se sono usate nel silenzio per consolare, per confortare, per educare, per insegnare.

Adesso ci proviamo a dire lo sgomento che sentiamo quando cerchiamo di immaginare come è morire per mano d’uomo, morire per mano di chi ci toglie il cuore millantando amore, di chi ci colpisce frantumando ogni dignità e ogni speranza.  Avrà implorato pietà, avrà chiesto compassione, avrà ammesso perfino colpe mai commesse per placare l’ira funesta dell’uomo che un giorno aveva creduto di amare, quella donna che giace sul letto come in un sepolcro? Il corpo di Rosalia, massacrato nell’isolamento di una casa di periferia per tre lunghi giorni ( lunghi come la passione sulla croce), porta su di sé le piaghe e le offese di tutte le donne vittime della follia, dell’ignoranza, della perversione , della cattiveria di uomini che hanno scambiato l’amore con il possesso, la condivisione con il controllo,  la sicurezza con la violenza.

Nel corpo di Rosalia e nella sua mente, il corpo e la mente di tutte le altre. Alcune canzoni che noi donne cantiamo, rapite e in estasi, sono proclami di consegna all’uomo, di resa totale. Alcune parole che ci aspettiamo trepidanti  dagli uomini, sono autorizzazioni a procedere nei nostri confronti. Non ci pensiamo mai, ma gli atteggiamenti mentali, si costruiscono quotidianamente nelle piccole cose:  nell’essere sempre servizievoli e disponibili, nell’accettare una paga inferiore, nel tacere quando vorremmo urlare, nel “prendilo con il suo verso”, nel “ è stanco, fallo riposare e tu riposerai appena puoi”, nel “come faccio se lo lascio? Chi mi mantiene?” nel continuo “ tu lo hai voluto, ora te lo tieni”, nel credere che ci sono cose “da uomini”… se è necessario educare i bambini al rispetto, è indispensabile insegnare alle bambine a farsi rispettare.

Ogni donna uccisa è una sconfitta, un fallimento. E non ci rassicura che per una uccisa, ce ne siano 10, 100 che siamo riusciti a salvare o che siano riuscite a salvarsi da sole. Ogni figlio orfano “ speciale” ( così si chiamano i figli delle donne ammazzate dal marito o dal compagno, attuale o ex)  richiede a tutti una nuova e diversa genitorialità . Allora, diamo parole al dolore prima che il nostro cuore si spezzi  e frantumi con sé l’umanità, e da adesso, ancora di più diamo braccia, case, pensieri a chi fugge dall’orrore.

Da questo si misura la civiltà di una comunità, da come sa prendersi cura dei più fragili e , non illudiamoci che a noi non possa mai toccare : questa fragilità, un giorno, potrebbe avere le chiavi della nostra casa o di quella delle nostre figlie, delle nostre sorelle, delle nostre amiche. Potremmo avere preparato una cena troppo salata, o avere salutato un compago di scuola troppo affettuosamente, o avere indossato una camicia scollata...potremmo avere voglia di non continuare una relazione soffocante, o semplicemente  avere scoperto di non amare più, o esserci accorte di un tradimento… e l’uomo sulla porta, che gira con tracotanza la chiave nella serratura, potrebbe essere il nostro peggiore nemico,  e  il  nostro cuore batterebbe forte non  per la gioia dell’incontro con l’amato, ma per la paura dell’arrivo dell’aguzzino.

E allora anche noi potremmo avere bisogno di qualcuno che ci dica “ non sei sola” e che non ci abbandoni nell’inventare e  pronunciare l’impietosa e incredibile bugia  “ sono caduta dalle scale” e non ci lasci nell’illusione  che “adesso cambia…mi ama, adesso cambia, me l’ha promesso”. Se davvero ci aiutassimo, se davvero fossimo comunità solidale… Così, ritrovo parole che un tempo scrissi e che mai avrei voluto riscrivere. Madri straziate, con mani d'amore, metteteci in fila, una accanto all’altra: che si tocchino le spalle, che si consolino i nostri pianti, che si intreccino le nostre dita. Sciogliete i nostri capelli dai mille colori, e lasciate nudi i nostri piedi che nessuna scheggia più potrà ferire. Non mascherate con pietose lenzuola i lividi sulla nostra carne, e non nascondete con bende le nostre ferite: si imprimano come monito nelle residue coscienze. E voi, uomini, guardate l'opera della vostra nefandezza: siamo l’infinito sentiero della vostra disumanità, la scala insanguinata della vostra infamia, lo specchio impietoso della vostra vigliaccheria. Siamo bambine, giovani , vecchie. Siamo donne, siamo le vostre madri, le vostre figlie, le vostre sorelle. E che importa se le mani con cui ci avete strappato Il cuore sotto i vestiti, furono bianche o nere, giovani e ubriache o tremanti di vecchiezza. E che importa se foste mariti, amanti, fidanzati o sconosciuti. E se non furono mani ma solo parole: nessuna di noi se l’è cercata. E se fu casa, strada, piazza magazzino abbandonato. ufficio o campo di battaglia... Le nostre grida soffocate dai vostri spietati latrati, oggi si innalzano al cielo come eterno atto d’accusa. Dimenticate pure i nostri nomi: non siete degni di pronunciarli. Ma ricordate i nostri occhi che avete spento e non avete chiuso. E mentre su di noi piovono lacrime di gelsomini piova su di voi , rovente, il fuoco del rimorso. Maria Lisma    

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