Sono rimaste in cinque ma fino a poco tempo fa erano in otto. Tre sono decedute per vecchiaia. La più giovane delle cinque è una nigerina cinquantenne. Siamo nel convento di clausura delle Benedettine del Monastero San Michele di Mazara del Vallo. La loro giornata è fitta di preghiere e dietro quelle preghiere c’è la storia personale di ognuna di loro. Dietro il portone del Monastero, ognuna potrebbe raccontare la propria storia e motivare l’estrema decisione di vivere la vita in clausura lontana dal mondo e dai fatti.
Vite vissute in preghiera, senza potere ascoltare i rumori del mondo, le sofferenze, le angustie ma anche le gioie. Lontane da tutto e da tutti. Padre Giuseppe Alcamo, presbitero della Chiesa di Mazara del Vallo, è docente di Catechetica e di Introduzione al Cristianesimo nella Facoltà Teologica di Sicilia. E’ cappellano della Chiesa San Michele di Mazara del Vallo aggregata al Monastero. Padre Alcamo (in foto di copertina) è in possesso di molti titoli accademici ed ha svolto diversi incarichi pastorali in Diocesi e in Regione.
Ha pubblicato 19 monografie e molti articoli giornalistici su diversi argomenti. Spiega il senso della clausura nella chiesa di oggi, “che è innanzitutto contemplazione” dice. “Contemplare il mondo con gli occhi di Dio per sostenere il bene ed invocare il perdono sul male. Inoltre, è contemplare il mistero di Dio per farsi voce di ogni uomo che lo cerca e che lo invoca. La clausura è vivere con il cuore pieno di Dio, protesi verso i fratelli per donarlo con amore e gratuità.
Per colui che guarda in superficie, la clausura è chiusura e rinuncia; per chi la sceglie, la clausura è apertura incondizionata e universale all’amore”. Con la preghiera anche il lavoro. Ecco perché dentro quelle mura nascono dalle sapienti mani delle monache i deliziosi dolci “i muccunetti”. Ricette non più segrete, finite da anni nelle pasticcerie dove, però, gli stessi dolci hanno altri sapori e altri involucri, non in carta velina come quelli delle monache ma in carta d’alluminio.
Un piccolo dettaglio che tipicizza i “muccunetti” di San Michele, termine dialettale che vuol dire "bocconcini". Bisogna fare un tuffo nel lontano passato per scoprire che si tratta di antichi dolci tipici della Sicilia occidentale e precisamente di Mazara del Vallo, realizzati con zuccata, mandorle, zucchero ed uva. I “muccunetti” vengono lavorati tutti a mano seguendo l'antica ricetta, e confezionati ad uno ad uno nella carta velina, a forma di grosse caramelle. Le monache di San Michele si sono tramandate l’arte ed oggi questi particolari dolci si trovano in commercio nelle pasticcerie siciliane, oltre che nel convento secondo il vecchio metodo di vendita: si passano i soldi in una ruota di ferro che gira e inghiotte le monete, lasciando al loro posto un pacchetto di dolci.
I “muccunetti” nascono così grazie alla maestria delle suore benedettine di San Michele, secondo l'antica tradizione pasticcera siciliana dei conventi di clausura, che ha contribuito ad arricchire l'arte dolciaria siciliana. L'arte pasticcera sin dall'antichità svolgeva un ruolo fondamentale nella vita monacale, infatti dolci realizzati venivano dati in dono come moneta e in questo modo il chiostro acquistava l'attenzione del mondo esterno. Sul finire del XVIII secolo l'arte dolciaria nei conventi si diffuse a dismisura fino a diventare fonte di reddito.
La storia delle monache di clausura, in tal senso, ha riguardato intere generazioni di mazaresi. “Da anni – dice Nicolò Sardo – vado nel convento di San Michele a comprare i “Muccunetti”. Ma sono certo che non c’è mazarese che non li abbia gustati”. Una storia lunga almeno 500 anni che si perpetua ancora oggi, ed in particolare nelle festività in cui in molti, ai dolci delle pasticceria, preferiscono i “muccunetti” delle suore di clausura.
Per loro una forma di sostentamento. Una volta si adoperavano anche per il cucito, oggi non più perché molte le suore sono anziane e la vista non è quella di prima. La domenica i loro volti si possono scorgere dalle grate che sovrastano l’altare della chiesa San Michele dove padre Giuseppe Alcamo celebra la messa. Poi ritornano nelle loro celle per pregare, quindi il lavoro ed il silenzio. Il mondo è da un’altra parte. Il monastero si presenta come una fortezza, ingentilita dal panorama che si gode dalla sua loggia di osservazione, che abbraccia tutta la città.
Sfumata nei secoli la sua antica ricchezza, il Monastero conserva tuttavia la tangibile dimostrazione del suo passato splendore in opere di alto valore artistico, come il baculo d’argento della Badessa, prezioso lavoro di oreficeria risalente al XVI sec. L’imponente struttura è stata ristrutturata ed ampliata, nell’assetto attuale, nel 1697. Nel 1933 ne fu abbattuta un’ala per costruirvi le scuole elementari. San Michele Arcangelo è la Chiesa annessa al monastero benedettino. Venne costruita nel 1637 durante il governo del Domenico Spinola vescovo di Mazara del tempo e come scrisse lo storico Filippo Napoli “aveva grande rinomanza in tutta la Sicilia occidentale per grande decoro e pingue patrimonio”.
Venne destinato alle monache di clausura mentre toccò al vescovo Giuseppe Cigala nel 1678 consacrare la nuova Chiesa in mezzo all'esultanza del clero e della cittadinanza. Venne decorata con finissimo stucco nel 1697, arricchito d'oro nel 1764 sotto il governo dell'abadessa Donna Maria Benedetta Gerbino. Oltre ai decori finissimi, sono posti all'interno del tempio venti statue di finissimo stucco, statue simboliche come "la Mansuetudine", "La Costanza", "La Pace", il ciborio a forma di trittico (1532) realizzato dal Gagini, nonché la cantoria maggiore opera del maestro Natale Pugliese realizzata tra il 1696 – 1702.
Il Tempio è adornato da molti affreschi, in particolare vi troviamo quelli realizzati dal pittore Tommaso Sciacca quali “La Strage degli innocenti” e il più importante, nonché più realistico, il "Trionfo di San Michele sopra lucifero” che si può ammirare sopra la volta vicino alla cantoria. Vi è custodita quella che per i mazaresi è considerata la statua più preziosa e cioè la statua di colui che è chiamato il Santo Bambino ed è anche il santo protettore della città. Stiamo parlando della statua argentea di San Vito , concittadino e Patrono della Città.
Tocca alle laboriose monache benedettine custodirlo e ogni anno consegnarlo alla Città per i dovuti festeggiamenti.
Salvatore Giacalone