“Una punta di Sal”. Un maledetto imbroglio…

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
22 Novembre 2020 17:52
“Una punta di Sal”. Un maledetto imbroglio…

“Un maledetto imbroglio”. Certo, è il titolo del film di Pietro Germi del 1959, un giallo di sangue e passione, ma anche il sequestro del 1° settembre di due pescherecci di Mazara e di 18 uomini che vivono di pesca, sembra un “maledetto imbroglio”. Una storia che si ripete quella con i libici, che risale al 1987 con i primi sequestri e che sono continuati in questi 33 anni, con pescatori che sono finiti  nelle galere di Gheddafi e pescherecci  che sono rimasti a marcire in qualche porto libico.

I nostri 18 pescatori mancano da Mazara da 83 giorni, un’assenza interrotta da due telefonate e da molti “stiamo provvedendo” della Farnesina. Ma cosa c’è dietro a quel che sembra un “impossibile” ritorno dei 18 uomini e dei due pescherecci? E’ un  maledetto imbroglio, un giallo che inizia il primo settembre scorso. Il nostro ministro degli Esteri, Luigi Di Maio,  è andato per la quarta volta in dieci mesi a Tripoli e questo prova ancora una volta che il ruolo di ministro degli Esteri in Italia è anche quello di "ministro per la Libia".

Come se già le cose non fossero abbastanza complicate laggiù, adesso alcuni nostri connazionali, pescatori di Mazara del Vallo, sono trattenuti però dalle forze del generale Haftar a Bengasi, perché pescavano a decine di chilometri dalla costa libica. Dicono: “La Farnesina è al lavoro per risolvere l'impasse che va avanti ormai da oltre due mesi” ma c'è da chiedersi che tipo di relazione abbiamo con i libici se dopo così tante mediazioni anche con Haftar è così complicato farsi restituire i pescatori catturati?.

Addirittura Il 13 febbraio scorso, quindi appena nove mesi fa, il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, e il generale Khalifa Haftar, 'uomo forte' della Cirenaica, "hanno raggiunto un accordo sulla protezione dei confini marittimi", cioè proteggere i confini marittimi per evitare infiltrazioni terroristiche. Il  Comando generale dell'Esercito nazionale ha riferito che sarebbe stato questo uno dei temi discussi nel corso dell'incontro tra il generale Haftar il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio.

L'ufficio informazioni del Comando dell'esercito ha chiarito che "le due parti hanno discusso dei modi per proteggere i confini marittimi, evitare l'infiltrazione di elementi terroristici e dei gruppi criminali e di come combattere il terrorismo in generale". Al suo rientro in Italia, Di Maio ha affermato di aver visto in Haftar "un uomo sincero ed anche per una sincera apertura sull'idea del ‘cessate il fuoco’ e per avviare il processo democratico in Libia". Ma c’è di più. Un comunicato della Farnesina del 17 dicembre 2019, quindi circa un anno fa, al termine dell’incontro (in foto copertina) fra Di Maio e Haftar, quest’ultimo disse  al ministro grillino: “Lei può essere orgoglioso di sé stesso, può essere l’esempio per tutti i giovani libici, un modello”.

Però, in questo momento le forze del generale Haftar trattengono alcune persone, in maggioranza di nazionalità italiana, catturate a bordo di pescherecci italiani il giorno dopo la sua visita in Libia, a Tripoli. Si è capito il motivo di questo gesto così duro? Si tratta di un segnale di irritazione di Haftar dopo gli incontri con Serraj a Tripoli e con Aguila Saleh a Tobruk? Oppure, come è stato scritto, è per la questione non ancora risolta dell'accordo per finanziare con soldi italiani la Military Authority di Haftar? “I nostri pescatori sono stati fermati – ha affermato Di Maio dopo il sequestro -  mentre si trovavano in acque che le controparti libiche - tanto all'Est che all'Ovest - rivendicano come ‘zona di protezione della pesca’.

Non è purtroppo la prima volta che in quell'area assistiamo al sequestro dei pescherecci e al fermo del personale a bordo. Stiamo lavorando, con i tutti i competenti organi dello stato, nel riserbo che sempre occorre mantenere in questi casi, perché i nostri connazionali vengano rilasciati al più presto". In sostanza, ci presentiamo in Libia come generosi partner di pace e la missione del 1° settembre di Di Maio ruotava attorno a investimenti commerciali importanti come l'Autostrada della Pace e la ricostruzione dell'aeroporto di Tripoli.

“La mia visita a Tripoli del 1° settembre – ha detto Di Maio - è stata in larga parte incentrata proprio su questa dimensione. Sono molti i settori dell'economia libica nei quali l'Italia può garantire un contributo responsabile e di qualità, e di questo i nostri interlocutori sono ben consapevoli”. L’Italia opera in Libia dal lontano 1959 ed attualmente è attiva nei settori Exploration & Production e Gas & Power nell’offshore di fronte alla città di Tripoli e nel deserto.

E con questi  rapporti commerciali eaddirittura umani con alcuni esponenti di spicco libici, come mai ancora non  vengono rilasciati  i nostri pescatori? Quale è “il maledetto imbroglio”, il giallo che la politica italiana non riesce  risolvere con Haftar?  Nel 2008  la guardia costiera libica ha sequestrato due pescherecci, il “Monastir” e il “Tulipano”. Li hanno tenuti bloccati per tre settimane nel porto di Khoms.  Li  hanno liberati solo grazie alla personale intercessione di Berlusconi.

L’armatore mazarese è volato a Roma, dove ha incontrato il presidente del Consiglio. Questi gli ha assicurato che da lì a tre giorni le sue barche sarebbero state rilasciate. Il che è puntualmente avvenuto. Ma l’altra promessa, quella più importante, non l’ha  mantenuta, malgrado il  Premier avesse garantito che avrebbe parlato con il colonnello Gheddafi del problema delle acque territoriali e della crisi della pesca durante la visita a Tripoli in occasione dell’anniversario del “Trattato di amicizia, cooperazione e partenariato”.

Non è successo. Così la Libia mantiene la sua linea dura annunciata: ogni peschereccio italiano sorpreso nelle acque della Jamahiriya sarà sottoposto al “sequestro delle quantità di pesce a bordo”, “sequestro di tutte le attrezzature di pesca”, “pagamento di sanzioni pecuniarie che potrebbero raggiungere il valore dello stesso peschereccio”. Ma con i nostri 18 si è andati al di là di ogni pronunciamento. Perché? E’ opinione comune che vi sono in gioco altri interessi: il petrolio, il gas, lì  fanno affari le grandi industrie, l’Eni, la Finmeccanica “e a farne le spese – azzarda qualcuno - sono spesso i pescatori mazaresi”.

Un maledetto imbroglio che si consuma sulla pelle di chi va per mare. “Oremus” – esorta il Papa. Salvatore Giacalone    

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