Anche questa è una ricchezza venuta dal mare. Mazara del Vallo è ricca di anfore finite nelle reti dei pescatori. La loro storia è un po’ la nostra storia, quella di una antica civiltà, in cui si racconta di pesca ma anche di guerre e di bastimenti carichi di uomini in viaggio verso mete improbabili. Le anfore portate a riva dai pescatori di Mazara, sono centinaia, forse migliaia, recuperate ed in parte esposte. Pescatori impegnati con le reti da pesca che hanno tirato su, a volte, un gran numero di anfore, intatte, “pescate” spesso a circa 35 miglia ad ovest dalla costa di Marettimo, conosciuta per essere una zona di gambero rosso e scampi.
Anfore rimaste impigliate, spesso di colore rossastro costituite, presumibilmente, da creta e argilla. Ancora una volta ci troviamo di fronte a scoperte dalla grande rilevanza storica e archeologica avvenuta nel Canale di Sicilia. Non è un caso infatti che, proprio in questo tratto, siano state segnalate imbarcazioni che, con strumentazioni sofisticate e ricercatori del settore, anche americani, sembrano essere alla ricerca di tesori marini. Il Museo del Satiro offre ai propri visitatori una collezione di reperti recuperati dalle acque del Canale di Sicilia, tra cui un frammento in bronzo di una zampa di elefante datato all’epoca punico-ellenistica, un calderone in bronzo che risale al periodo medievale e una serie di anfore da trasporto originarie di epoca arcaica, classica, ellenistica, punica, romana e medievale. Oltre a questi reperti è presente, s’intende, anche la famosa statua del Satiro Danzante, rinvenuta nel marzo del 1998.
Un passo indietro. Nel mese di luglio del 2008 è stato inaugurato, a Mazara, nella piccola ex Chiesa San Carlo, in via San Giovanni, “Amphoreus”, spazio espositivo con materiali poveri che riproduceva lungo le navate, un fondale marino sabbioso, punteggiato da dune e solcato da vele azzurre e bianche che scendevano ondeggiando dal soffitto per avvolgere in un abbraccio i resti di un naufragio rovinoso, ch eha disperso il carico e gli oggetti di bordo. Ma, principalmente, l’ex Chiesa S.Carlo (oggi trasformata in sala convegni) ha ospitato una raccolta di anfore ed oggetti provenienti dal mare, per la maggior parte frutto di consegne spontanee da parte della marineria di Mazara.
“La maggior parte – scrive Francesca Oliveri in un suo saggio - si tratta di anfore da trasporto,le cui tipologie variano dalle puniche alle greche italiche,alle romane e tardo romane, di cui molte integre; tra i reperti non mancano il vasellame da mensa,l e ancore,etc.; quasi tutti i reperti provengono dal Banco Skerki, nel Canale di Sicilia. Al centro del Mediterraneo, sulla rotta tra Roma e Cartagine, si estende per numerose miglia una lunga dorsale subacquea, localizzata a 60 miglia SW da Marettimo, tra la Sicilia e la Tunisia.
Il Canale di Sicilia raggiunge notevoli profondità,ma il Banco Skerki presenta vaste zone le cui sommità non superano i 10/15 metri. Una delle sommità, lo scoglio Keith, raggiunge appena i 30 cm.di profondità. Il Keith rappresenta il punto zero del Banco Skerki, grosso modo equidistante tra Tunisia, Sardegna e Sicilia”. Le esplorazioni dei fondali del Mediterraneo intraprese dall’esploratore oceanico Ballard con il sommergibile nucleare della marina statunitense, dotato delle più sofisticate tecnologie di rilevamento in alto fondale, proprio nel Banco Skerki, hanno individuato la presenza di molti relitti tra Sicilia e Tunisia.
Durante queste esplorazioni è stato possibile osservare una scia di anfore, verosimilmente gettate dalle navi nel tentativo di alleggerirle, che traccia sui fondali la rotta tra il Nord Africa ed il porto di Ostia. E’ stato sempre grazie allo spirito di collaborazione fra la marineria mazarese, la Guardia Costiera e Soprintendenza del Mare che sono confluiti nello spazio espositivo dell’ex Chiesa S.Carlo, numerose anfore di epoche divere e di diversa fattura ed in tal senso il Comando della Capitaneria, da sempre ha inteso sensibilizzare il comparto marittimo mazarese affinché collaborasse in caso di eventuali ritrovamenti.
“Le anfore rappresentano – scrive la Oliveri - il contenitore più diffuso dell’antichità: erano realizzate in terracotta, cioè argilla, lavorata al tornio in parti separate che venivano poi assemblate tra loro. Venivano poi fatte seccare e quindi cotte in fornace. Per impermeabilizzarle veniva stesa all’esterno una sorta di pellicola ottenuta con una sospensione di argilla assai depurata. Erano spesso reimpiegate sia per nuovi trasporti che per conservare sostanze di qualsiasi genere (alimenti, calce, pece….).
Frequente era anche il loro riuso in ambiente funerario (al posto di sarcofagi, urne, segnacoli) e soprattutto nell’edilizia per la preparazione di pavimentazioni, per l’alleggerimento delle volte,per la realizzazione di condotte d’acqua. Il trasporto via acqua era preferito, perché, nonostante i pericoli, era il meno costoso e il più vantaggioso inquanto permetteva lo stivaggio di numerosi contenitori”. Qualche anno fa le anfore della ex Chiesa San Carlo, destinata, come è noto, ad altri impieghi, furono trasferite ed oggi esposte presso il Museo del Satiro e nella “Sala delle Anfore” del Centro Polivalente di Cultura (ex Collegio dei Gesuiti).
Negli anni, militari della Capitaneria di porto hanno operato diversi sequestri di anfore che si trovavano nelle abitazioni di marittimi che anzichè consegnare i manufatti alla Capitaneria le hanno portate nel proprio domicilio per abbellire qualche stanza o terrazzo o l’ingresso dell’abitazione. A Mazara sono centinaia.
Salvatore Giacalone