“Una punta di Sal”. Il partito del “non voto”

Il tema dell’astensionismo domina il dibattito politico. L’analisi di un fenomeno che influirà sulle prossime elezioni

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
11 Settembre 2022 10:15
“Una punta di Sal”. Il partito del “non voto”

Il voto è una delle maggiori conquiste delle democrazie libere e moderne. Il voto è protetto dalla nostra Costituzione, è un diritto inviolabile e al tempo stesso un dovere civico. Ma il numero di quanti non si recano alle urne è in crescita ovunque. Perché le persone non vanno a votare? Il fenomeno è davvero preoccupante? E, soprattutto, di che portata è? Il tema dell’astensionismo domina da anni il dibattito politico. Elezione dopo elezione, tornata dopo tornata, la partecipazione elettorale del popolo italiano è diminuita in maniera sostanziale. Alle prime elezioni della Camera dei Deputati (1948) partecipò il 92,23% del corpo elettorale, nel 2013 la percentuale era del 75,20%, per la prima volta sotto la soglia dell’80%.

Il diritto di voto è sancito dall’articolo 48 della costituzione. Il cosiddetto elettorato attivo è composto da uomini e donne che hanno compiuto la maggior età. Quello che spesso si dimentica però, è che oltre ad essere un diritto, il voto è un dovere civico, che hanno tutti i cittadini. Nonostante questo sempre più persone decidono di non partecipare, anche perché nel nostro Paese votare non è obbligatorio. Ma esistono casi al mondo in cui lo è. Secondo l’istituto internazionale IDEA, attualmente al mondo sono 26 i Paesi in cui i cittadini sono obbligati a votare.

Le penalità per il “non-voto” possono essere di vario tipo: 1) semplice spiegazione: portare una giustificazione formale per l’astensione per evitare una possibile multa; 2) sanzione pecuniaria per chi decide di non partecipare (attualmente presente in 16 paesi); 3) incarceramento: al momento nessuno paese considera quest’opzione, se non come conseguenza per multa non pagata; 4) perdita di alcuni diritti e della possibilità di usufruire di servizi pubblici o rimozione dalle liste elettorali.

Ma quali sono i risultati delle convocazioni elettorali in questi paesi? E sarebbe il caso di inserire l’obbligo anche in Italia? In realtà sia nei paesi in cui votare è obbligatorio, sia in quelli in cui non lo è, il trend dell’affluenza è in calo, anche se con quantità diverse. Mentre negli anni ’80 la percentuale di partecipazione alle tornate elettorali era per entrambi i casi poco sotto l’80%, al momento i due dati sono distanti 7 punti percentuali. Nei paesi in cui votare è obbligatorio l’affluenza è poco oltre il 70%, nei paesi in cui non lo è, è ben sotto.Nonostante questo, obbligatorio o no, il dato dell’astensionismo è tendenzialmente uniforme. È vero che il gap fra le due categorie di paesi è in aumento, e il calo dei votanti è più drastico negli stati in cui non c’è nessun obbligo di voto, ma costringere i cittadini a dire la loro non sembra essere la soluzione migliore per riportare le persone alle urne.

Non esiste un unico motivo per cui sempre meno elettori vanno a votare. Ma tra i vari fattori esplicativi occorre metterne in rilievo soprattutto la crisi dei partiti. Al tempo della Prima Repubblica i partiti svolgevano una funzione essenziale di socializzazione, di informazione e di mobilitazione. Non è un caso che l’astensionismo sia cominciato a crescere sensibilmente dall’inizio della Seconda Repubblica dopo il tracollo dei partiti che erano stati i protagonisti della Prima. Il crollo della fiducia nei partiti ha portato con sé il crollo della partecipazione. A livello di elezioni politiche tra quelle del 1994 e quelle del 2018 l’affluenza è calata di quasi quattordici punti percentuali. A livello di Elezioni Europee è calata di più e lo stesso dicasi ai livelli inferiori. Vedremo cosa succederà alle Politiche e Regionali del prossimo 25 settembre. È probabile che si sforerà al ribasso la soglia del 70%.

La crisi dei partiti spiega molto ma non spiega tutto. Anche la demografia ha il suo peso. Le persone più anziane e socializzate in tempi in cui partecipare era una abitudine radicata o addirittura un dovere escono di scena e i giovani che entrano nel mercato elettorale sono meno interessati alla politica e tendono ad astenersi. Cosa si può fare per invertire o quanto meno arrestare la tendenza negativa? Se i partiti non recupereranno credibilità e capacità organizzativa e se non si affronterà seriamente il tema della educazione alla democrazia la disaffezione nei confronti della politica è destinata a continuare e con essa l’astensionismo.Tra gli aspetti che aiutano a spiegare questi livelli di astensionismo, oltre a questioni logistiche, di opportunità, credo abbia un ruolo anche la povertà, nella doppia tenaglia dei problemi più pressanti che incombono sul potenziale elettore e della forte disillusione che la politica non è ancora capace di dare una risposta.

Guardando dentro il dato di povertà, che colpisce in misura più che doppia i giovani rispetto agli anziani, si trovano due fattori di grave disagio sociale: l’abbandono scolastico e la disoccupazione, vale a dire rispettivamente la povertà educativa e la povertà economica, che si sommano e si combinano per corrodere alla base i fondamenti democratici della società civile. “La fiducia dei cittadini verso il parlamento, il sistema giudiziario e i partiti politici è bassa in tutto il territorio nazionale, ma è un po’ più bassa al nord rispetto al mezzogiorno.

Viceversa, la fiducia nelle Forze dell’ordine, nei Vigili del fuoco e nei governi locali è più bassa nel Mezzogiorno e leggermente più elevata al Nord“, si legge nei rapporti degli analisti. Quindi, nonostante le cause del non voto possano essere tante, e persino legittime, in Italia il clima di sfiducia nei confronti dell’istituzioni ha un peso notevole nella questione che contribuisce ad allontanare i cittadini dalle urne. “Votare è un diritto – si dice – ma non è un obbligo”.

Ma in questo periodo storico ogni cittadino si deve assumere le proprie responsabilità verso sé stesso e verso la comunità.

Salvatore Giacalone

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