I nuovi poveri hanno il volto dei giovani laureati, delle partite iva, dei precari a tempo indeterminato. Mi riferisco a chi stenta ad avere anche una prima occasione, un primo approccio attraverso un tirocinio, a chi accetta uno stage non retribuito pur di “cominciare ad entrare”, dimenticando o facendo finta di non sapere che il lavoro, qualsiasi e a qualunque età, va sempre retribuito. Parlo di chi accetta di essere dequalificato e demansionato pur di non essere licenziato. Ecco perché non ci si può sdegnare se, mancando tutto, in tanti decidono di scagliarsi contro l’altro, contro il prossimo, anche se sta nella stessa condizione.
È questa la guerra tra poveri, fatta di paura e che non ha necessariamente bisogno che l’altro sbarchi da una costa lontana. Ma che certo, se lo vede arrivare, non ha alcun motivo per accoglierlo. Inutile dire che l’altro siamo noi stessi. Perché ormai quello che conta sono i fatti. E i fatti dicono che siamo poveri e soli. Vi è infatti una parte della popolazione che, pur lavorando e ricevendo quindi un regolare stipendio, risulta inclusa tra i poveri perché il salario risulta l’unica fonte di sostentamento per la famiglia ed è totalmente inadeguato per vivere una vita dignitosa.
Comunque povertà è soffrire la fame, è vivere senza un tetto, è essere ammalati e non poter essere visitati da un medico; povertà significa non andare a scuola e non sapere leggere, è non avere un lavoro o avere un lavoro precario, intermittente, è vivere arrangiandosi, è paura del futuro.... Si potrebbe continuare all’infinito nell’elenco dei significati di povertà, ma oggi si parla sempre più di povertà relativa oltre alla povertà assoluta, di nuove povertà, di lavori poveri, di impoverimento dei ceti medi.
Siamo al buio. E ci resteremo fino a quando non si girerà l’interruttore delle idee, per il lavoro, la buona formazione, lo sviluppo. Questa è la scommessa che fa la differenza tra la guerra e la pace. E bisogna lavorare per la pace e non solo sociale. Molte persone vivono con la costante preoccupazione di “ciò che sarà”, di quello che potrebbe accadere, senza però rendersi pienamente conto che è tutta energia sprecata: ciò che deve accadere, accadrà e noi avremo solo la possibilità di affrontarlo al meglio delle nostre capacità! vivere costantemente in ansia non ci aiuta ad essere più efficienti nel momento in cui qualcosa, nel bene o nel male, nella nostra vita cambia.
Non significa che non dobbiamo avere progetti per il futuro o che dobbiamo vivere in maniera sconsiderata, voglio solo dire che dobbiamo imparare ad avere fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità di affrontare e superare quello che l’esistenza pone nel nostro cammino. Abbiamo bisogno di vincere la paura, per esempio del “non conosciuto” e rafforzare le nostre sicurezze interiori. Il “non conosciuto” ci porta anche al fenomeno migratorio. I mazaresi ormai da ben 57 anni, dal 1968, sono abituati a vedere stranieri arabi ed oggi sono forse l’unico popolo a non avere paura di vivere accanto allo straniero, ormai, anzi, si condividono speranze, gioie e dolori perché a volte il mare fa brutti scherzi al pescatore .
Bisogna tener presente che le migrazioni fanno da sempre parte della storia dell’umanità. Le persone migrano da un luogo all’altro per diverse ragioni e la loro mobilità segue il suo corso e le norme, più o meno restrittive, applicate alle frontiere o all’interno degli spazi sovraregionali o nazionali. Norme che possono influenzare le migrazioni poco o per breve tempo in termini di partenze, che producono però un impatto profondo e di lunga durata sui diritti e sulla qualità della vita di chi migra – tra cui bambine, bambini e adolescenti – e delle comunità di origine o di nuova appartenenza.
“Personalmente sono convinto – scrive nel suo libro “Migranti Costituenti” (Giappichelli editore) il Vescovo emerito della Diocesi di Mazara, mons. Domenico Mogavero, “che dalla positiva soluzione di questo intricatissimo enigma dipenderà il futuro di progresso e di sviluppo del pianeta; così come, nell’ipotesi contraria, saranno difficilmente gestibili le sorti dell’umanità per la precarietà sempre più problematica dell’area euro – mediterranea, legata al doppio filo a quanto accadrà in Africa, continente della cui centralità in tanti ancora fanno fatica a prendere contezza, o rifiutano semplicemente l’ipotesi”.
.Intanto ci sono ancora quelli che inneggiano ai respingimenti in mare per paura che le acque portino forza lavoro in grado di sottrarre quelle residue opportunità che restano ai nostri figli. Siamo in guerra. Ed è la peggiore di questo secolo. È vero, è la guerra tra poveri. Ho sentito l’altra sera in TV che vi sono in Italia 5 milioni di poveri, poveri che non hanno un piatto di pasta. Sono i vecchi e nuovi poveri, figli di questo tempo di crisi a cui nessuno, per troppi anni, ha dato ascolto, né voce.
Una guerra di solitudine e, insieme, di appartenenza. Una guerra senza vincitori, soltanto vinti, e un solo arbitro possibile, lo Stato. Non immagino vecchi sfaticati cresciuti e pasciuti a pane e assistenzialismo
Salvatore Giacalone