Quand'è che alle valigie di cartone si è sostituito un cumulo di lauree e di laureati vaganti che cercano di varcare la soglia dell’ormai utopistico mondo del lavoro? A spiegarcelo è la "Rivista economica del Mezzogiorno" diretta da Riccardo Padovani ed edita dalla Svimez, che ci ha offerto una panoramica esaustiva circa l'esodo dei laureati, mettendoci di fronte ad un quadro generale agghiacciante circa le cause, gli effetti e le perdite che il Sud sta subendo in questi anni di migrazione intellettuale.
Esempio: a Mazara del Vallo mancano oltre 2000 giovani, sparsi tra il Nord Italia ed Europa, sono laureati o universitari. La loro vita si svilupperà lontano dalla loro città. Perché dovrebbero ritornare a Mazara dove non c’è lavoro nemmeno per i diplomati o i disoccupati di mano d’opera? È sempre difficile, partire. È sempre difficile lasciare un luogo: partenza è una parola che non associo tanto al muoversi verso una meta, quanto all’allontanarsi da un posto in cui già ci troviamo.
Quando poi in quel posto si è passata una vita, la partenza suona quasi come un addio stanco tra persone che hanno condiviso tanto ma che in fondo, forse, non hanno più niente da dirsi necessariamente abbandonati. Oggi, con una laurea in tasca e la disoccupazione che avanza, non ricominciamo da zero, purtroppo, e neppure da tre: uno studente medio nato e cresciuto al Sud, è destinato a ricominciare da molto, molto più indietro. Probabilmente, ormai, almeno da meno tre. Rimane la speranza che è l’ultima a morire.
Questa è l’Italia dei giovani e dei sogni infranti. Di fronte a un Paese che troppo spesso preferisce la resistenza al cambiamento, anche i giovani imprenditori si trovano a combattere una battaglia davvero impari. C’è una storia che si ripete troppo spesso in Italia. È la storia di chi, dopo anni di esperienza come dipendente – sia nel Bel Paese, che all’estero – ritorna a casa con una visione chiara ed ambiziosa: trasformare le proprie competenze in un progetto che possa contribuire al rilancio dell’economia nazionale.
È la storia di un giovane motivato, con un “business plan” solido, un’analisi di mercato accurata e previsioni di ricavi promettenti. Un giovane che crede nella possibilità di fare la differenza, di innovare, di creare valore. Ma è anche la storia di un sogno che si infrange contro la dura realtà. Quando torni a casa, dopo aver accumulato anni di esperienza ed una visione concreta di come migliorare il tuo Paese, sei pieno di entusiasmo e di voglia di fare. Hai l’energia e la determinazione che solo i giovani possono avere, pronti a investire tutto sé stessi per realizzare quel sogno.
Eppure, quello che trovi davanti a te non è il sostegno che ti aspettavi, ma un muro di porte chiuse. Cerchi fondi, presentando il tuo progetto con la passione e la convinzione di chi crede veramente in ciò che fa. Ma in Italia, troppo spesso, sono più i ‘no’ che i ‘sì’. Ti scontri con un sistema che sembra aver dimenticato il valore dell’innovazione, un sistema che, invece di nutrire e sostenere le nuove idee, sembra volerle soffocare sul nascere. Questa è l’amara contraddizione dell’Italia di oggi.
Da un lato, ti chiedono di contribuire al rilancio dell’economia, di mettere in campo le tue competenze per fare la differenza. Dall’altro, ti trovi a dover combattere contro ostacoli che sembrano insormontabili, contro una burocrazia che rallenta ogni processo, contro un sistema di finanziamenti che sembra prediligere la conservazione piuttosto che l’innovazione. È un paradosso che lascia un sapore amaro in bocca: un Paese ricco di talenti, ma povero di opportunità concrete. Un Paese che potrebbe crescere grazie all’energia dei suoi giovani, ma che troppo spesso sembra preferire il sentiero della resistenza al cambiamento.
E così, chi ha la voglia e la capacità di fare la differenza si ritrova costretto a fare i conti con un sistema che spezza i sogni sul nascere. Ma nonostante tutto, non smetti di credere. Non smetti di credere nel tuo progetto, nella tua visione, e nella possibilità di contribuire a un’Italia diversa. Un’Italia che non solo riconosca il valore delle nuove idee, ma che le supporti attivamente. Tuttavia, è una strada in salita, ed ogni passo è una sfida. Questa è l’Italia che conosciamo, un’Italia che troppo spesso spegne i sogni dei suoi giovani.
Ma non è l’Italia che sogniamo. Sogniamo un Paese che abbracci l’innovazione, che sia in grado di riconoscere e coltivare il talento. Un Paese che dia ai suoi giovani la possibilità di realizzare i propri progetti, di contribuire veramente al suo futuro. Fino ad allora, la strada sarà lunga e tortuosa, ma è una battaglia che vale la pena combattere.
Salvatore Giacalone