“Una punta di Sal”. I giovani con il coltello in tasca

La repressione non basta, bisogna attuare progetti di educazione emotiva e civica

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
22 Giugno 2025 09:58
“Una punta di Sal”. I giovani con il coltello in tasca

I tempi moderni sono preoccupanti e ad essere oggetti di ansie sono soprattutto gli adolescenti ed i giovani. Le certezze che avevano caratterizzato le generazioni dagli anni del boom sono svanite. I giovani di oggi si confrontano con incertezze, guerre, degrado culturale e sociale. Essi reagiscono molto spesso con abuso di droghe, comportamenti antisociali ed auto annichilimento sui cosiddetti social. Credo sia utile anche valutare in che cosa si è mancato verso i giovani in questi anni.

Fino agli anni ’60 a tutela dei giovani vi era la famiglia che dava regole certe. La scuola supportava l’eventuale inappropriatezza della famiglia, infondendo educazione e disciplina. Tra l’adolescenza e la giovinezza vi era poi il servizio militare di leva. Esso li indirizzava alle professioni e soprattutto poneva i giovani di fronte alle loro responsabilità e facendo pagare le conseguenze dei loro errori. Inoltre, mescolava provenienze regionali e classi sociali diverse, abituando i giovani al conforto reciproco ed alla solidarietà.

Un tempo la famiglia quasi sempre gestiva ogni conflitto genitore-figlio. Oggi non è così anche per le dinamiche economiche che portano spesso i genitori fare ancora più lavori, delegando ai media ed alla televisione le funzioni educative. Spesso i media propinano violenza e spettacoli dove sparare un colpo in testa ad una persona è gesto normale come “soffiarsi il naso” ha detto qualcun. Gli stessi media ipocritamente poi si sorprendono quando un giovane stermina la famiglia a coltellate, o un altro accoltella una donna per provare l’effetto che fa o litiga con il coltello in mano con un amico per uno sgarbo.

Quello che è successo a Palermo qualche settimana fa è la cartina di tornasole di un malessere diffuso. Bastano un battibecco social o una lite ai tavoli di un pub per tirare fuori le lame. Si muore o si viene feriti per quelli che il Codice penale definisce «futili motivi» ma che esprimono un male profondo perché i protagonisti sono giovanissimi, parecchi sotto i diciott’anni e già a mano armata. Tantissimi quelli che vanno in giro con un coltello in tasca, di ogni ceto sociale e in qualsiasi città, dal Nord del benessere alle periferie estreme del Sud, in Sicilia.

Alcuni passano alla pistola prima di compiere la maggiore età e non la usano per rapinare ma tirano il grilletto per punire un’occhiata di troppo o una pedata sulle scarpe griffate. Gesti che ci suggerisce la cronaca quotidiana. Dicono tutti di essere assassini inconsapevoli, perché non si sono resi conto di uccidere: una generazione incosciente dove lame e persino revolver stanno diventando la normalità. Siamo davanti a un’emergenza che nessuno vuole affrontare: i genitori che chiedono aiuto vengono lasciati soli; gli insegnanti che lanciano l’allarme non ricevono risposte.

Le istituzioni hanno chiuso gli occhi sulla quotidianità lancinante dei figli, sempre più abbandonati a se stessi confondendo la realtà con i videogiochi: non percepiscono il valore della vita e per questo ignorano quanto sia pericoloso impugnare un coltello. Palermo viene indicata come la capitale di questi omicidi acerbi, senza mai un movente: una città dove è facile trovare una pistola. Alcuni saggisti spiegano che “l’assenza di regole ed il permissivismo da parte dei genitori sono vissuti dai figli come mancanza di interesse ed attenzione verso di loro”.

In molte storie di violenza giovanile, emerge il ritratto di adolescenti che, purtroppo, ricorrono alle armi come unica risposta alla loro incapacità di gestire emozioni negative e conflitti. A chiedere un cambio di rotta c’è ANPE, l’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani, presieduta dalla Dott.ssa Maria Angela Grassi, che ha lanciato un monito sul fenomeno, dichiarando: “L’aumento dell’uso del coltello tra giovani e giovanissimi non può più essere sottovalutato. Questo comportamento è il sintomo di un disagio profondo, che nasce dall’assenza di punti di riferimento e dalla crescente disaffezione nei confronti delle istituzioni educative.

È essenziale che la scuola e la famiglia riprendano il loro ruolo centrale, diventando i primi luoghi di formazione alla cittadinanza e alla convivenza civile. La repressione, per quanto necessaria, non basta: occorre un impegno concreto da parte delle istituzioni per attuare progetti di educazione emotiva e civica, così da fornire ai giovani gli strumenti per gestire le proprie emozioni, affrontando conflitti e frustrazioni senza ricorrere alla violenza.” Ed allora: come si potrebbe aiutare i giovani nel nucleo familiare? Due regole: maggiore ascolto congiunto da parte dei genitori, i genitori devono essere compatti verso i figli, anche se sfiniti dal lavoro, devono avere la pazienza di dare risposte certe, regole ed essere disposti ad ascoltare.

Salvatore Giacalone

Ti piacciono i nostri articoli?

Non perderti le notizie più importanti. Ricevi una mail alle 19.00 con tutte le notizie del giorno iscrivendoti alla nostra rassegna via email.

In evidenza