“Una punta di Sal”. Dal medioevo ad oggi. Il commercio marittimo di Mazara e i rapporti con tunisini e libici

Negli anni ’50 inizia l’ostilità verso i pescherecci di Mazara del Vallo con una serie aggressioni e sequestri

Redazione Prima Pagina Mazara
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09 Febbraio 2025 13:05
“Una punta di Sal”. Dal medioevo ad oggi. Il commercio marittimo di Mazara e i rapporti con tunisini e libici

Mazara nell’antichità e nel medioevo era la sola città marittima della Sicilia occidentale che offriva un naturale e comodo rifugio alle navi mercantili, perché il fiume Mazaro aveva una foce abbastanza larga e profonda ed era navigabile per un lungo tratto. Anche la rada, compresa tra il fiume ed il promontorio di Capo Fede, serviva da ormeggio alle navi. La foce del fiume rappresentava quindi, quando il mare era la sola via di comunicazione, un piccolo porto destinato principalmente all’esportazione dei prodotti, che affluivano dal territorio e dalle adiacenze e conosciuto dal naviganti di tutti i paesi”.

Lo scrive lo storico mazarese Giuseppe Napoli nella sua “Storia della città di Mazara” al capitolo VIII e sul commercio marittimo puntualizza: “Nel corso dei secoli – annota lo storico – per renderlo più sicuro e capace, furono corrette le variazioni del letto, furono costruite scogliere e regolarizzate le sponde, furono fatte banchine per facilitare il carico e lo scarico delle merci”. Oggi, invece, ci troviamo con un porto-fiume, non navigabile, inservibile, con un dragaggio bloccato senza spiegazioni sulle cause del fermo.

Tacciono tutti, funzionari regionali ed impresa che ha vinto l’appalto. Un intervento della magistratura sui motivi dello stop sarebbe auspicabile. La storia di questo porto è molto complessa come sono stati complessi i rapporti dell’armamento mazarese con i dirimpettai tunisini e libici. II primi segnali arrivarono nel 1951. Settantaquattro anni fa, i pescherecci di Mazara del Vallo che si spingevano sino alla acque della Tunisia cominciarono a subire l'ostilità delle motovedette del Paese nordafricano.

Dapprima, si trattò soltanto di perentori inviti all'allontanamento; poi, si passò ai mitragliamenti e al sequestro delle imbarcazioni e dei pescatori. Fu l'inizio della fine di decenni della libera attività di pesca dei mazaresi nel Canale di Sicilia, oggi diventato un tratto di mare reso quasi impraticabile dalla presenza delle unità militari tunisine e soprattutto libiche che rivendicano la territorialità delle zone più pescose.

Molti anni prima -nel 1884- una convenzione firmata da Roma e Tunisi aveva concesso libertà di pesca ai pescherecci italiani nel golfo di Hammamet; dopo quella data, a Mazara del Vallo fu un fiorire di armatori e di industrie ittiche e conserviere di sgombri e sardine (Bruno, Strazzera, Vaccaro ed altre ), in grado di offrire centinaia di posti di lavoro a donne e uomini provenienti da Santa Ninfa e Castelvetrano. Intorno al 1920, la flotta peschereccia mazarese cominciò a potenziarsi; dalle paranze a vela, si passò ai primi pescherecci a motore acquistati a Molfetta, Bari e Torre del Greco.

Il porto canale del fiume Mazaro- all'epoca regolarmente dragato - in quegli anni visse un periodo di intensa attività mercantile, testimoniato dai dati forniti nel 1922 da A. Brunialti e S. Grande in "Il Mediterraneo" ( Utet, Torino ). "Il porto di Mazara accolse, nel 1914, 759 navi di 179.078 tonnellate in arrivo e 746 di uguale portata complessiva in partenza, e recarono 11.904 tonnellate di merci e 334 passeggeri, imbarcandone 21.122 e 236..."

La seconda guerra mondiale interruppe bruscamente l'attività degli armatori. Le imbarcazioni più attrezzate vennero infatti requisite e riconvertite dalle marine italiane e tedesche in dragamine. Le aree di pesca - lungo le rotte percorse dai convogli navali italo-tedeschi diretti in Tunisia e Libia - diventarono teatro di drammatici scontri navali ed aerei. Alla fine del conflitto, la neonata Regione Siciliana tentò di rinnovare il vecchio accordo di libera pesca del 1884 con la Tunisia, che all'epoca era un protettorato francese.

L'assessore alla pesca Stefano Vaccara si rese allora protagonista di un'iniziativa che non piacque ai francesi e nel 1949 comunicò al Console francese a Palermo ed al nostro Ministero degli Esteri l'intenzione della Regione di rinnovare quel trattato, nella considerazione "che questo accordo, insieme all'atmosfera di cordialità che si verrebbe a creare con la presenza dei rappresentanti francesi, animata dalla suggestività del nostro paesaggio e dal calore schietto dell'ospitalità siciliana, potrebbe costituire un primo passo verso la libera circolazione delle navi mazaresi".

La risposta all'incauta iniziativa dell'assessore Vaccara fu schiettamente perentoria: la Francia e il Bey di Tunisi abrogarono la convenzione e proclamarono zona di riserva di pesca tunisina sino a 45 miglia dalla costa le acque prima frequentate dai mazaresi (il cosiddetto “Mammellone”). Da allora, l'ostilità verso i pescherecci di Mazara del Vallo fu al centro di una serie di puntuali episodi verso i pescatori siciliani, con mitragliamenti che provocarono morti e feriti.Per la prima volta, gli armatori mazaresi chiesero a gran voce l'istituzione di una vigilanza pesca nel canale di Sicilia da parte della Marina Militare.

Sull'onda emotiva sollevata dall'uccisione del comandante e dell'armatore del "Salemi", l'allora presidente del consiglio Amintore Fanfani accettò la richiesta; per qualche mese, i pescherecci mazaresi poterono lavorare senza incorrere nel rischio di altri sequestri. Nel gennaio del 1966 si registrò poi uno dei primi sequestri da parte delle motovedette libiche: ne fecero le spese il "Città di Mazara" ed il "Gaspare Tumbiolo", che poterono tornare a Mazara del Vallo dopo il pagamento dell'immancabile multa.

Da allora, il numero di pescherecci e degli equipaggi mazaresi fermati negli ultimi decenni da Tunisi e Bengasi è sfuggito ad un computo ufficiale, ma è testimoniato da quello rilevante dei pescatori e dei comandanti che possono raccontare l'esperienza personale della carcerazione in una cella dei due Paesi nordafricani. Oggi, dopo i recenti 108 giorni di prigionia in Libia dei 18 pescatori dell'"Antartide" e del "Medinea", la flotta peschereccia di Mazara del Vallo - ridotta a meno di un centinaio di imbarcazioni - vive un periodo di profonda crisi.

In questo contesto, negli ultimi anni è cresciuto il numero di pescherecci demoliti per ottenere i contributi europei: soldi che convincono gli armatori ad interrompere l'attività di pesca. Così, la "guerra del pesce" che da 74 anni chiama in causa i pescherecci mazaresi - una guerra a cui nessuno sembra volere trovare soluzione - finisce con l'impoverire centinaia di famiglie e l'intera economia locale.

Salvatore Giacalone

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