“Il padrino sono io”. È questa la scritta che si legge su uno dei magneti che gli investigatori hanno trovato attaccato al frigorifero in uno dei covi di Matteo Messina Denaro a Campobello di Mazara. Una passione, quella per il film “Il Padrino” di Francis Ford Coppola confermata dalla presenza in casa di numerosi gadget relativi al film, dai poster alle tazze fino ai magneti (vedi foto fornite dal gruppo Ros dei carabinieri). Tra questi anche le foto di animali feroci e una riproduzione del quadro “La Vucciria” del suo conterraneo Renato Guttuso.
Così sul frigorifero tra vari magneti di disegni, cartoni animati e coniglietti, il boss teneva attaccati i magneti del padrino. Uno con il volto di Al Pacino in smoking, un altro con una tazza e il volto di Marlon Brando, del quale aveva anche una foto appesa. Appesi al muro anche la locandina del film del 1974 “Il Padrino – parte II”, con un giovanissimo Al Pacino. Gli investigatori del Ros hanno trovato appeso al muro anche il poster di Marlon Brando. Tra i curiosi oggetti del boss trovati, anche le foto di animali feroci tra cui la pantera, di notte invisibile agli altri animali.
Immancabile il primo piano di un leone. A scoprire la collezione di oggetti insieme a biografie di Putin e Hitler, sono stati i carabinieri del Ros che dopo l’arresto di Matteo Messina Denaro dopo 30 anni di latitanza, hanno trovato tre covi. All’interno non solo pizzini, carte criptate, documenti, abiti e scarpe griffate ma anche i gadget che denotano una certa passione del boss per la saga dei Corleonesi. Ci sarà un film o una serie TV per Matteo Messina Denaro? Certo il materiale non manca.
Rai, Mediaset e Sky potrebbero essere già alla ricerca di sceneggiatori e attori ma alla fine, come è successo per Salvatore Giuliano o per Buscetta, la serie Tv in più puntate prima o poi si farà.
“L’arresto di Matteo Messina Denaro avvenuto il 16 gennaio 2023, dopo trent’anni di latitanza, ha generato però più interrogativi che risposte. Queste ultime si spera arriveranno con il prosieguo delle indagini che si concentrano ora sui luoghi in cui l’ex primula rossa si nascondeva e sulle persone che per tre decenni gli hanno consentito di trasformarsi in un fantasma” scrive il giornalista Lorenzo Bodrero. “Ma le domande abbondano. La prima da porsi è quanto Messina Denaro contasse davvero all’interno del sistema mafioso siciliano fino al giorno prima della cattura.Il quesito è d’obbligo dal momento che sui principali giornali italiani a fianco del nome dell’ormai ex superlatitante sono comparse definizioni quali «capo di Cosa nostra», «l’ultimo padrino», «capo dei capi». Etichette che strizzano l’occhio alla narrazione da fiction ma che rischiano di falsare sia l’analisi di ciò che ha rappresentato negli anni il boss sia lo stato di salute dell’odierna mafia siciliana”.
“Messina Denaro non è stato super capo di niente”. Le parole sono di Salvatore Lupo, studioso di mafia di lunga data e professore di Storia Contemporanea all’Università di Palermo. “La definizione può anche essere stata usata dagli inquirenti qualche volta – aggiunge – ma loro stessi sanno che Cosa nostra ha sempre avuto il suo epicentro nel Palermitano e ciò esclude che un boss trapanese possa ricoprire questo ruolo”. Sarà. Ma sarebbe altrettanto errato non riconoscere il peso avuto da Messina Denaro all’interno di “cosa nostra”.
Infatti, se per un trapanese, secondo le regole e le tradizioni mafiose, sarebbe stato difficile riuscire a presiedere la “cupola”, resta indubbio che lui – figlio di un boss e cresciuto alla “scuola” di Riina – abbia rappresentato l’elite mafiosa. “Messina Denaro incarna la figura del mafioso corleonese ma al contempo è stato anche in grado di trasformare quell’ortodossia portandola verso nuove prospettive”, commenta a Nino Di Matteo, già magistrato a Palermo e prossimo al rientro nella Direzione Nazionale Antimafia, dopo l’esperienza al Consiglio Superiore della Magistratura. Tra gli elementi che dimostrano come Messina Denaro sia stato capace di ammodernare “cosa nostra”, per Di Matteo sono da segnalare “la scelta di differenziare gli investimenti anche al di fuori della Sicilia, per riciclare il denaro, e l’utilizzo di strumenti tecnologici nelle comunicazioni”.
Un modus operandi ben diverso dai boss – Riina su tutti – che ha accompagnato la crescita di Messina Denaro all’interno di “cosa nostra”. Ma al di là del suo effettivo status dentro “cosa nostra”, la domanda che più preme dopo l’arresto di Messina Denaro è una: parlerà? Il boss, che ha sfidato lo Stato dimostrando però anche di saperci trattare, è custode di una memoria criminale che, per molti, potrebbe intrecciarsi con importanti passaggi della recente storia d’Italia.
Pensare a una possibile collaborazione con la giustizia di Messina Denaro significa valutare di poter fare luce sull’esistenza di mandanti esterni alla mafia delle stragi del 1992 e 1993, ma anche su chi abbia reso possibile i suoi 30 anni di latitanza, e magari anche arrivare all’archivio di Totò Riina.È ancora presto per dire se Messina Denaro deciderà di compiere questo passo. Farlo potrebbe consentirgli di evitare i rigori del carcere duro ma sono tanti anche i motivi che portano a pensare che il boss possa scegliere di trincerarsi dietro un rigoroso silenzio.
Nella fiction, che già è nell’agenda di produttori, che finale ci sarà?
Salvatore Giacalone