Questa settimana ho rivisto con piacere “Green Book”,un film uscito nel 2018.
Il film narra la storia vera di un pianista afroamericano durante una tournee negli Stati Uniti del sud e racconta una storia di amicizia tra il pianista di colore e l’autista italo-americano. Durante il viaggio i due finiscono in una prigione per un pugno dato ad un poliziotto durante un controllo. In quella circostanza, Don Shirley chiamadavvero il procuratore Robert Kennedy perché li aiuti a uscire di prigione. Nella vita i due erano amici e quella telefonata è stata fatta non molti giorni prima dell'assassinio del fratello del procuratore, il presidente John Kennedy. Nel film non si vede, ma Shirley si faaccompagnare a Washington per partecipare ai funerali.
Ho consigliato il film ai miei ragazzi di terza media poiché sui libri imparano con fatica nozioni su razzismo, apartheid e diritti civili, invece, mediante la rappresentazione cinematografica di una storia vera,possono immergersi nella reale atmosfera dell’Americadegli anni 60.
Molto bene è reso nel film il cambiamento di atteggiamento di Tony Vallelonga tra l’inizio del viaggio e la fine dello stesso, quando l’amicizia, nata tra i due protagonisti, ha aperto la mente ad entrambi spingendoli verso nuovi rapporti umani.
All’inizio del film, infatti, l’autista italoamericano dopo aver offerto dell’acqua a due operai di colore che stavano eseguendo dei lavori nella sua casa, ha buttato, con disprezzo, i due bicchieri nella spazzatura. Alla fine del film, nel porgergli gli auguri di Natale, abbraccia con trasporto Don Shirley.
Sono molto forti le parole usate dal pianista quando,rivolgendosi a Vallelonga, gli dice “Lei ha una visione limitata della mia persona…. lei non ci vede, è cieco”, riferendosi in maniera metaforica agli occhi dell’anima.
Queste parole rendono bene la cecità che attanaglia ognuno di noi quando non riusciamo ad andare oltre le apparenze, oltre l’aspetto fisico, per giungere alla sostanza delle cose, alla vera essenza dell’essere umano.
Maria Teresa Carmicio