Ci avviciniamo – e sembra incredibile che sia già trascorso un anno – al primo anniversario della scomparsa di Andrea Camilleri. Era il 17 luglio 2019 quando il Maestro ci lasciava e la voce di Tiresia si spegnava per sempre. Passano le settimane, i mesi, gli anni e alla morte dei personaggi pubblici, si sa, ci si abitua. Anche se sono scrittori, musicisti, registi, attori che hanno intessuto e permeato la nostra personalità, spesso facendo da colonna sonora ai momenti di non “trascurabile felicità “della nostra vita.
Camilleri andava oltre tutto questo. Camilleri non era solo uno scrittore. Narratore, grande conversatore, affabulatore, attento osservatore della società e dei costumi, testimone storico, Camilleri era una voce, a volte tuonante altre volte dolce, una presenza, un intellettuale del nostro tempo, vero, sincero e senza filtri perché ormai a novant'anni, e con la sua fama, gli era consentito esserlo. Camilleri è stata una voce critica di questo Paese: era racconto, memoria storica, voce narrante, amico di molti ma non di tutti, nemico di chi vedeva in lui un contestatore della sua narrazione politica sovranista, populista, razzista.
Per noi siciliani era questa lingua di cui cominciammo ad essere orgogliosi, questo nuovo registro linguistico che all'inizio ci ha spaesati tanto da chiederci come potesse avere questo riscontro tra i non siciliani, era il Montalbano della tv che tutti seguivano, questo commissario che veniva dalla nostra terra e un po' ci apparteneva, erano le strade e le piazze del barocco, Scicli, Ragusa Ibla e il mare di Punta secca ma anche di Mazara, erano gli arancini (gli abbiamo perdonato pure il maschile) e la caponata di Adelina assurte a patrimonio dell'umanità.
Camilleri non ha raccontato la Sicilia, questo è chiaro a tutti, ha raccontato la sua Sicilia. Una Sicilia immaginaria. Cosi come quella lingua non è il siciliano ma il suo siciliano. Una lingua che prima di lui non esisteva e che nessuno userà dopo di lui, ma resterà per sempre cristallizzata nelle sue pagine. Però l'abbiamo amata questa bellezza, da lui raccontata, perché anche se per le strade di Vigata non c'è la spazzatura abbandonata, e anche se i suoi personaggi sono spesso caricaturali, se le sue donne sono eccessive in abbondanza, sguardi, languore e sensualità, nere di occhi e di capelli e dallo sguardo ammaliante e misterioso, quasi a voler mortificare la nordicità diafana di Livia, o se la mafia da lui raccontata non è quella che conosciamo, la grandezza dello scrittore e del romanziere sta tutta li: prendere la realtà e trasfigurarla ma soprattutto estremizzarla, spingerla sempre oltre, sempre più in là.
E alla gente questa narrazione è piaciuta. Forse meno ai siciliani, che non l'hanno riconosciuto questo racconto della Sicilia senza la Sicilia. Sulla Sicilia di Camilleri si sono versati fiumi d'inchiostro. E se da un lato questa Sicilia da cartolina ha restituito al turismo più di trent'anni di politiche e di progetti turistici, scrive tuttavia Perrotta che “la sua Sicilia, in Sicilia, non l'abbiamo mai vista. Con le sue cartoline vista mare, con il suo espressionismo elementare, con la caponata ciavurusa, colorita, abbondante, Camilleri ha saturato l'immaginario collettivo cristallizzando la Sicilia in un'immagine troppo comune”.
Montalbano è un personaggio affascinante e seducente, che abbiamo amato e che negli anni è cambiato, è cresciuto, è maturato. E' diventato grande insieme a noi. Il mio primo incontro con Camilleri risale al 1996, con un regalo di Natale: “ Il ladro di merendine”. Era un piccolo libriccino blu targato Sellerio. Da allora ho comprato tutte le sue uscite, i piccoli libri blu sono sempre più aumentati, Camilleri si è radicato in me, nella mia vita, nelle mie esplorazioni letterarie per dieci anni o anche più.
Essendo lui uno scrittore molto prolifero, è sicuramente il più rappresentato nella mia libreria. Poi ho smesso, divenendo più incostanti e occasionali i miei acquisti, anche perché sul versante letterario arrivavano nuovi investigatori come Rocco Schiavone, l'avvocato Guerrieri e l'avvocato Malinconico. I romanzi storici e i saggi rimangono per me i suoi lavori più belli. “Il birraio di Preston” il suo capolavoro assoluto, ma anche “La concessione del telefono”, la “Scomparsa di Patò” e “Biografia del figlio cambiato”.
Era un genio delle ricostruzioni storiche che poi ci restituiva in forma romanzata, destreggiandosi con grande maestria tra archivi, documenti d'epoca, fotografie, lettere, ritagli di giornali. Quanto ho amato e ammirato, e anche un po' invidiato questa sua straordinaria capacità ricostruttiva! La sua amicizia con Elvira Sellerio è un capitolo che meriterebbe un articolo a parte. Cosi come un articolo a parte meriterebbe la Sellerio, quella casa editrice di via Siracusa a Palermo dove nacque il successo di Camilleri e quello di Montalbano, dove Leonardo Sciascia era di casa e dove si fermavano tutti gli autori e gli intellettuali di passaggio a Palermo.
A lei Camilleri ha affidato la sua opera postuma, “Riccardino”, che esce in questi giorni e che stiamo aspettando con trepidazione non solo per scoprire il destino del commissario Montalbano ma perché forse, con questo libro, tanti di noi chiuderanno un lungo periodo della propria vita. Catia Catania