Ultime della sera: “Sono solo canzonette?”

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
16 Novembre 2020 18:42

Oggi le mie riflessioni sono state ispirate da una celebre canzone della musica popolare italiana fra le due guerre. Un periodo che ha sempre suscitato la mia attenzione e la mia curiosità, non soltanto perché è stato occupato quasi per intero dalla dittatura fascista ma anche, e, principalmente, dal mio punto di vista, perché durante il quale il nostro paese ha conosciuto la sua prima modernizzazione, di cui la diffusione di moda, cinema e musica leggera ne è stata la manifestazione più evidente.

Fenomeni che, se analizzati con spirito critico, offrono spunti di riflessione e di comprensione molto interessanti. La canzone presa in esame è "Vivere", composta da Cesare Bixio, colonna sonora dell'omonimo film (1936), interpretato dal tenore Tito Schipa, nella parte del protagonista, re dalla sofisticata Caterina Boratto, ma portata al successo mondiale da Carlo Buti grazie a una melodia brillante e a una voce suadente. Ma in fondo che cosa avrebbe di tanto particolare questa canzone? Apparentemente nulla, si tratta dell'ennesimo inno a una generica gioia di vivere, uno scontato invito a godere del presente senza soverchie preoccupazioni né immaginari tormenti futuri, come spesso mi viene confermato da tanti miei interlocutori.

Dopo un ascolto meno superficiale, tuttavia, ci si può rendere conto che le cose non stanno esattamente così. Il testo parla esplicitamente di un uomo abbandonato dalla sua donna (moglie o fidanzata ufficiale che sia) per un altro, un'onta particolarmente umiliante e disonorevole per il maschio italico del tempo, questioni serissime al punto di essere regolate persino con duelli e delitti d'onore pena la perdita della rispettabilità e credibilità pubblica e privata. Invece il testo ribalta ogni previsione, affermando che il nostro 'eroe', anziché ricorrere a irreparabili gesti estremi contro i fedifraghi o contro se stesso, si dichiara addirittura felice di essere stato lasciato dalla sua <<bella donna>>, di aver ritrovato la sua libertà ed essere tornato <<padron della sua vita>> e poterne finalmente godere senza subire gli impacci e gli impicci delle gelosie e delle bizze femminili né le inevitabili recite e ipocrisie che ogni legame porta con sé, al punto di concludere con sovrana e sorprendente sprezzatura di ogni convenzione <<io non ho più rancore e ringrazio chi me l'ha portata via>>.

Un atteggiamento dovuto non a remissività, inettitudine o vigliaccheria ma a un brillante e spregiudicato cinismo che sembra quasi farsi beffa del rivale, il quale è uscito vincitore dalla tenzone amorosa ma ancora non sa che la sua è una vittoria di Pirro, di chi ancora in preda all'euforia non immagina il peso delle catene a cui andrà incontro. Reazioni che a quel tempo erano inaudite, non bisogna dimenticare che la morale ufficiale del fascismo era sintetizzata dalla triade <<Dio, Patria e Famiglia>>, scritta rigorosamente con le iniziali maiuscole, propagandata da melense e retoriche canzoni, fra cui svetta l'insopportabile "Mamma".

A tal scopo, durante il Ventennio, furono promulgate leggi con cui venivano tassati i celibi, premiate le famiglie numerose, confinati in isolette remote gli omosessuali. La giornalista Wanda Gorjux, fiduciaria femminile delle fasciste romane, scriveva nei suoi opuscoli che il ruolo della donna italiana fosse quello di custode del focolare nonché di fertile madre, i cui figli all'occorrenza dovevano andare al fronte pronti al sacrificio della vita per la patria e per il Duce. Osservazioni volte a dimostrare come la canzone "Vivere" non sia una casuale stravaganza anticipatrice di tempi diversi bensì "una voce dal sen fuggita" che seppur involontariamente svela la doppiezza morale del regime e i suoi vizi privati camuffati dalle pubbliche virtù.

Alla gente comune veniva imposto con le buone o con le cattive il ruolo di padri e, sopratutto, di madri di famiglia tutti casa, chiesa e regime, in coerenza con il peggior paternalismo, per gli esponenti dell'élite fascista la musica era ben diversa. La testimonianza più eclatante è offerta proprio da una Mussolini, Edda la figlia prediletta, la cui disinvoltura in ambito sentimentale al tavolo da gioco certo mal si conciliavano con la stucchevole oleografia della moglie devota e della mamma esemplare dedita esclusivamente alla cura della casa, dei figli e di eventuali anziani.

-Tornando al tempo presente, in cui, nonostante i costumi sono infinitamente più liberi e le pari opportunità ampiamente acquisite, le crisi di coppia causano violente esplosioni di rabbia non di rado accompagnate da orrendi femminicidi, varrebbe la pena di rispolverare questa frivola canzonetta che ci ricorda di non prenderci troppo sul serio. Video:

  Francesca RUSSO

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