Ultime della sera: “Panama”

"Una striscia sottile tra due oceani. Tutta da attraversare"

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
23 Febbraio 2022 18:30
Ultime della sera: “Panama”

Dicono che per ottenere il Canale avrei dovuto aspettare la fine di ogni discussione al riguardo. Io ho preferito avere prima il Canale, e poi le discussioni, cui ora assisto con benevolo interesse” ( Theodore Roosevelt )

Nel 1988 ebbi l’occasione di attraversare il Canale di Panama in entrambi i sensi, a bordo di una nave da carico polivalente (rinfuse secche, colli e containers). Di seguito il resoconto del viaggio dall’Atlantico al Pacifico.

Addentrarsi nel bel mezzo di una foresta tropicale con una nave lunga quasi 200 metri, larga 27, di circa 20.000 tonnellate di stazza lorda, è un’esperienza straordinaria.

Ci addentriamo in America sotto un cielo plumbeo: ai tropici l’inizio di settembre cade nella stagione delle piogge.

La nostra entrata nella rada di Cristobal è stata annunciata via radio rispettando il preavviso di 48 ore; si paventa una lunga attesa prima di entrare nel Canale ma, fortunatamente, non sarà così: in questa stagione il traffico è scarso, come ci dice il Board officer panamense, salito a bordo per l’espletamento delle formalità necessarie; il traffico s’intensificherà nel tardo autunno, quando si dovranno alimentare i mercati per Natale, soprattutto di frutta secca, dal nord ovest americano in direzione Europa.

Sospiro: è proprio uno degli scopi del nostro viaggio; il problema si presenterà al ritorno!

Ora, invece, non dobbiamo attendere che poche ore per ricevere i piloti a bordo; sono 2, uno statunitense: saranno loro, nelle prossime ore, con la loro esperienza, aiutandosi con gli allineamenti forniti da numerosi segnali posti lungo il percorso, a dare gli ordini ai timonieri, che si alterneranno con ritmi serratissimi, data la gravosità del compito, ed agli ufficiali addetti al telegrafo di macchina.

Il passaggio del Canale è un’esperienza eccezionale anche per chi l’ha vissuta più volte, l’organizzazione di bordo ne viene sconvolta: saltano i turni ordinari di guardia, il Comandante presenzia in plancia senza concedersi pause per tutto il tempo; il 3° ufficiale di coperta deve stazionare a prua a sorvegliare il lavoro dei ‘marinos’, ormeggiatori locali preposti ad assicurare la nave con i cavi alle ‘mule’, le motrici che, a terra, trainano la nave nelle chiuse spostandosi su binari; i ‘marinos’ imbarcano, infatti, poco prima dell’entrata nelle chiuse di Gatun, e sbarcheranno una volta che la nave avrà superato i 3 livelli che la innalzeranno a quello del lago di Gatun, uno dei più grandi bacini artificiali del mondo, per poi reimbarcare quando si affronteranno le chiuse di discesa; nel frattempo, ci hanno già richiesto la mancia in natura, un obolo da saldare con provviste di bordo variabili secondo la bandiera della nave: a noi, che battiamo quella italiana, richiedono bottiglie di brandy, il che non sorprende, ma loro insistono, chissà perché, che siano di Vecchia Romagna etichetta nera!

Dopo un percorso tortuoso, tra isolette coperte da una lussureggiante vegetazione, ed animate da un’interessantissima fauna avicola, si entra nel Gaillard Cut, vero monumento all’importanza dei traffici marittimi ed alla volontà umana che non tollera impedimento alcuno al loro sviluppo: trattasi di un varco lungo quasi 15 chilometri scavati nella roccia fino ad una profondità di più di 13 metri; nel punto più stretto, in prossimità della Golden Hill, la nave dispone, a dritta e sinistra, di pochissima acqua; qui le migliaia di manovali che hanno lavorato alla realizzazione del Canale, ed il cui sacrificio (sono moltissimi quelli che morirono di stenti e di malaria) è commemorato da una lapide, hanno dovuto asportare un’intera collina appartenente a quello stesso sistema montuoso che, molto più a Sud, prende il nome di Cordigliera.

Qui più che altrove si comprende l’importanza politica del Canale di Panama, per la cui realizzazione gli Stati Uniti non si fecero scrupolo di appoggiare, militarmente, la secessione dello Stato di Panama dalla Colombia in cambio dell’amministrazione del Canale, previa un’Agenzia governativa, l’omonima Commissione, fino al 2000.

L’Amministratore è oggi un cittadino USA, affiancato da un Amministratore aggiunto panamense, ma, già dal prossimo anno, le cariche si invertiranno; già oggi, ad ogni modo, quasi tutti gli 8.000 dipendenti della Compagnia del Canale sono cittadini panamensi.

E la ricerca di un’alternativa al canale sembra condizionare tutta la politica centro-americana degli USA, basti considerare che l’ipotesi più praticabile è stata, già da tempo, individuata in Nicaragua; ma qui, a bordo, si parla anche di un progetto in territorio messicano.

In serata, le chiuse di Pedro Miguel e di Miraflores, ci riportano al livello del mare, sul Pacifico; sotto l’illuminazione artificiale le immense vasche dove, sotto la guida del ‘Lock Master’, le navi si innalzano ed abbassano in meno di ¼ d’ora, appaiono ancora più grandiose.

Solo una minima parte del naviglio mondiale si ritrova la strada sbarrata da queste chiuse. Giusto le super portaerei americane, le ultra, o very, large crude carrier (mega petroliere) superano il “Panamax”, ossia lo standard dimensionale fissato per il naviglio che intenda attraversare il Canale: non più di 294 metri di lunghezza, 32,3 di larghezza e 12,04 metri di pescaggio.

L’accurata manutenzione degli impianti nasconde la loro età e l’efficacia e rapidità del sistema dovrebbero impedire, e per molto tempo ancora, di considerarlo obsoleto.

Ma il progresso non si ferma: in Belgio, nel Canal du Centre, sono stati installati degli ascensori per navi colossali, che permettono di superare un dislivello di 73 metri in 6 o 7 metri.

Ma noi, qui a bordo, siamo soddisfatti delle performances delle stagionate chiuse panamensi, che, mercè (si capisce!) l’assiduo ed ininterrotto lavoro degli operatori, ci ha permesso di passare sotto il ponte della autostrada Pan-Am, che sovrasta Port Balboa sul Pacifico, appena 8 ore dopo aver lasciato il Mar dei Caraibi.

Aggiornamento n° 1 – Al ritorno, effettivamente, dovemmo attendere, ma fu una fortuna per me, dal momento che questo ci consentì di scendere a terra, a Panama City, che si affaccia sul Pacifico; di quel posto ricordo soprattutto che quasi tutti andavano in giro con un machete, indispensabile per muoversi nella giungla circostante, e le favelas, primo drammatico contatto con quel terzo mondo di cui avevo solo letto sui giornali, fino ad allora.

Aggiornamento n° 2 – Il Canale di Panama è stato successivamente ampliato perché, nel frattempo, anche le porta-containers, le unità navali oggi leader del trasporto marittimo mondiale, cominciarono a superare il Panamax: dal 2016, a conclusioni di lavori effettuati da un raggruppamento internazionale di imprese guidate dall’italiana Salini-Impregilo, è possibile ammettere navi lunghe 366 metri, larghe 49 e di 15 metri di pescaggio.

Aggiornamento n° 3 – Di un canale alternativo in Nicaragua si continua a parlare. Ma oggi il governo nicaraguense lo fa con la Cina.

di Danilo MARINO

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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