Ultime della sera: “Mustang”

Un mito americano tra carente tutela legale ed efficace memoria del radiatore

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
10 Novembre 2021 19:00
Ultime della sera: “Mustang”

Come tutti sanno il cavallo fu importato nel continente americano dagli europei.

E’ una cosa abbastanza risaputa, nonostante cozzi contro un immaginario popolato da nativi americani bravissimi a cavalcare nella prateria, anche senza sella: ma i nativi erano solo gli umani, perché gli animali provenivano da parecchio lontano e nemmeno da troppo tempo: 3 secoli appena.

Parliamo del cavallo come lo conosciamo oggi, naturalmente, perché, paradossalmente, pare che il primo equino sia comparso sulla terra, circa 50 milioni di anni fa, nell’attuale Wyoming: ma aveva le dimensioni di un gatto, né ci sono tracce di esemplari più evoluti sul continente americano fino all’arrivo degli spagnoli.

Ed a noi, in fin dei conti, il cavallo interessa per il suo intimo rapporto con l’uomo, e questo ci porta a ragionare non più in termini di milioni, bensì di migliaia di anni, se non addirittura, appena centinaia.

Nonché a tornare, per un momento, nel continente euro-asiatico, ove quel rapporto ebbe origine e si sviluppò, riuscendo qui l’uomo ad addomesticare e domare asini e cavalli, mentre nulla del genere avvenne in Africa con le cugine della savana, le zebre.

Gli equini si dimostrarono parecchio versatili, essendo impiegabili come bestie da soma, da tiro e forza motrice, mezzo di locomozione, fino a rivelarsi un formidabile strumento militare: la nostra civiltà deve loro moltissimo, sia per l’ausilio diretto, sia per insospettabili effetti indiretti, come lo sviluppo, nell’uomo, di robusti anticorpi per effetto della sua promiscuità con gli animali, che avrebbe reso le popolazioni del Vecchio Mondo molto meno vulnerabili a numerose malattie, rispetto alle popolazioni americane, fino a fare ipotizzare che “probabilmente se i cavalli non avessero mai lasciato l’America saremmo stati noi ad avvistare all’orizzonte una flotta di galeoni aztechi e inca e la storia sarebbe andata in modo diverso” (Valerio Coletta).

Faccio queste riflessioni leggendo di un’iniziativa promossa da Robert Redford e Jessica Springsteen, moglie di Bruce a favore dei ‘mustang’, di cui oggi rimarrebbero meno di 100.000 esemplari allo stato libero.

E’ incredibile come questo animale oggi incarni un “simbolo impetuoso di quella libertà ed indipendenza che forgia lo spirito degli Stati Uniti d’America”; già, l’America, il continente che non aveva mai visto un cavallo, ma che si rivelò, con le sue sterminate ‘pampas’ del Sud e praterie del Nord l’habitat ideale per un animale particolarmente bisognoso di sgambare: pochi esemplari sfuggiti di volta in volta ai conquistadores spagnoli si moltiplicarono a dismisura, risalendo dal Messico verso il Texas ed il Colorado: qui incontrarono i Navajos che ne intuirono l’utilità per un popolo nomade: quanto tempo sarà passato da quando i primi cavalli bradi comparvero in nord America ed il primo nativo americano provò a cavalcarlo con successo, elaborando una tecnica autoctona di doma? Un secolo? Massimo due?

Ed eccoci all’alba del XIX secolo e dell’epopea western, ossia al confronto tra i nativi americani ed i discendenti dei coloni inglesi e francesi in Nord America: i primi a cavallo dei mustang, discendenti dai cavalli addomesticati dai coloni spagnoli e tornati allo stato brado (il termine mustang è deformazione dello spagnolo mestengo, ossia non domato) gli altri in sella a cavalli delle varie razze del Vecchio Mondo.

Sappiamo tutti come finì, e la cosa si ritorse anche contro i mustang, a quanto pare: nonostante assurti a simbolo dell’America, al punto da dare il nome al più famoso modello della Ford, di cui decora in sagoma il radiatore, oggi vi sono in circolazione molte più automobili Mustang piuttosto che omonimi animali in carne, ossa, zampe e criniera.

Da cui iniziative di tutela, promosse da attivisti particolarmente impegnati, che portarono nel 1971, sotto la prima Amministrazione Nixon al, Wild free - roaming horse and burro act, che ritengo superfluo tradurre salvo ricordare che ‘burro’ è una parola spagnola che significa ‘asino’.

La legge, il cui contenuto potrebbe riassumersi nello slogan “Possiedi un ranch? Adotta anche tu un mustang…1.000 $ per te se accetti” pare non abbia sortito particolare vantaggi per gli animali che vorrebbe tutelare, come spesso accade quando gli umani si mettono in testa di proteggere la vita selvatica applicando i concetti di tutela e protezione elaborati dall’homo sapiens sapiens civilizzato ed urbanizzato.

In pratica, partendo dal presupposto che gli animali vadano “protetti” dalle “insidie” del loro habitat abituale, specie in particolari e ricorrenti condizioni di siccità, si stimola il loro affidamento ad allevatori che, una volta entrati in possesso dell’animale, salvandoli dalle privazioni della carestia, ne dispongono come meglio credono.

Uso alimentare incluso!

di Danilo MARINO

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

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