In uno dei tanti memorabili episodi della saga di Fantozzi, il nostro ragioniere si ritrova alle prese con un sadico capo-ufficio con la fissa del ciclismo agonistico, che lo induce a tentare di trasformare i suoi dipendenti in corridori semi-professionistici, impegnandoli in gare tanto improbabili, quanto massacranti.
Tremendo, poi, il test preventivo di conoscenza ciclistica imposto ai tapini: “cos’è la punzonatura??”
Il povero Fantozzi, investito in pieno dal misterioso pentasillabo, prima abbozzerà una risata, fuorviato da scatologiche assonanze, indi, freddato da un gelido sguardo dell’interrogante, comincerà a tergiversare, balbettando un patetico: “dicesi punzonatura…” fino al definitivo verdetto: “ignorante!! Ignoranti tutti!!! La punzonatura è l’attribuzione dei numeri di gara!”
Oggi, invece, in tempi di cultura ambientale che si vorrebbe profonda e diffusa, non trovereste un cristiano disposto a negare di conoscere un termine quale ‘capitozzatura’.
Che l’umile scrivano (parlo naturalmente di me) ha comunque preferito approfondire.
Secondo l’Accademia dei Georgofili “La capitozzatura consiste, come è noto, nel drastico raccorciamento del tronco o delle branche primarie fino in prossimità di questo. Tale operazione è una delle principali cause delle cattive condizioni in cui versano molti alberi ornamentali.“
Così invece l’altisonante Società Italiana di Arboricoltura – ONLUS: “La capitozzatura è il taglio indiscriminato del fusto, delle branche primarie o di grossi rami. La capitozzatura è la più dannosa tecnica di potatura degli alberi, eppure, nonostante più di 40 anni di letteratura e di seminari per spiegare i suoi effetti nocivi, la capitozzatura rimane una pratica comune. La capitozzatura renderà l’albero più pericoloso nel lungo termine.”
Come avrete senz’altro notato, non si tratta di semplici definizioni, ma di veri e propri anatemi: i Georgofili non mancano di aggiungere, alla loro, un giudizio senz’appello, e già questo non è frequente per una definizione, mentre la S.I.A. ONLUS si attarda in una vera e propria requisitoria, con tanto di excursus storico.
E state sicuri che nel medesimo senso si esprimerà chiunque interpellerete sull’argomento, perché oggi tutti sanno cos’è la capitozzatura: il che comporta almeno un paio di conseguenze: la prima che un Paolo Villaggio redivivo non potrebbe mai inserirla in un nuovo episodio di Fantozzi, la seconda, che, alla prima capitozzatura, garantito che deflagrerà un acceso dibattito tra interlocutori che faranno a gara a chi la spara più grossa.
In ogni caso chiunque sarà pronto a giurare che l’operazione costituisce uno scempio, un obbrobrio, addirittura un crimine, per cui, alla fine tutti, d’un tratto in coro, concluderanno con: “ma perché non la vietano?”
E qui si alzerà il solito ‘bene informato’ a proclamare: E’ già vietato! Altrove già fioccano le prime multe! Noi, come al solito, siamo indietro!” e giù altre polemiche a go go, complici gli immancabili social.
Non è vero. La capitozzatura, di per sé, non è vietata. Non più, almeno, di quanto non sia vietato lavare l’auto casa: perché, mi chiederete, è vietato lavarsi l’auto da sé, nel giardino di casa?
No, naturalmente: però lo era, ad esempio, nel comune di Ancona ai sensi di un’Ordinanza locale emanata, nel 2006, per fronteggiare l’emergenza siccità: lì bastarono 6 mesi, o poco più, di assenza di precipitazioni per vietare ogni possibile spreco d’acqua; subito dopo, ripreso a piovere, fu emanata un’altra ordinanza che vietava di mantenere ogni ristagno d’acqua, financo nei sottovasi, per combattere le zanzare.
Va da sé che da noi, dove la siccità è una piaga perenne, il lavaggio macchine fai da te rimane un must anche in piena estate, e della proliferazione delle zanzare non ci poniamo il minimo problema, ma lasciamo stare.
Tornando alla capitozzatura, come stanno le cose?
Ovviamente, è tutta una questione normativa, dato che, nei Paesi civili, cosa si possa o non si possa fare non è stabilito dagli umori estemporanei dei consociati, bensì dalle norme vigenti, prevedenti pure cosa succede se si agisce in difformità alle stesse; ma anche no, nel senso che non sempre il precetto è seguito da una sanzione.
Ma l’Italia, ancorché culla del diritto, è tristemente famosa per il suo ordinamento giuridico, pesante, ampolloso, ridondante e, fatalmente, contraddittorio tanto da fornire parecchio materiale, anni fa, alla rivista satirica Cuore ed alla sua rubrica “Leggi & decreti” dedicata alle norme più assurde, inutili, paradossali ed involontariamente comiche rinvenute sulla Gazzetta Ufficiale, che li pubblicava così com’erano; andò avanti per anni, senza che mai venisse a mancare la materia prima.
Tuttavia, dalla normativa non è dato prescindere, quindi non ci resta che esaminare quella disciplinante la capitozzatura, a partire da quella nazionale che, ovviamente esiste: è il Decreto, in data 10 marzo 2020, del Ministero dell’Ambiente, nonché della tutela del territorio e del mare (come qualcuno si premurò a specificare, come se il territorio ed il mare, assieme ad inferi et sidera, non costituissero già ambiente).
Decreto di cui, ovviamente, il ‘bene informato’ di cui sopra è già a conoscenza: “c’è scritto: “evitare di praticare la capitozzatura, la cimatura e la potatura drastica perché indeboliscono gli alberi e possono creare nel tempo situazioni di instabilità che generano altresì maggiori costi di gestione (del verde pubblico N.d.A.)”!!!
Tutto risolto? Nemmeno per sogno, perché se è vero che questo è quanto riporta il comma 11 della lettera ‘c’ minuscola della lettera ‘E’ maiuscola dell’allegato 1 di cui all’art.1 del Decreto citato, è altrettanto vero che il comma 9 sempre della lettera ‘c’ minuscola della lettera ‘E’ maiuscola dell’allegato 1 al Decreto ammette gli “interventi di capitozzatura delle specie arboree” ancorché solo “ove sia strettamente necessario, per non ridurre in modo drastico gli habitat per la fauna (rifugio, nidificazione).”
Un esempio classico di come vengono scritte le norme in Italia, per tacere del fatto che il Decreto non prevede alcuna disposizione punitiva, per intenderci qualcosa tipo: “chiunque pratichi la capitozzatura sarà punito da un minimo di venir iscritti sulla lavagna dalla parte dei cattivi ad un massimo di venir gettato in una fossa ed allora sarà pianto e stridor di denti”.
Anche perché una sanzione, anche solo pecuniaria, non può introdursi per decreto, ci vuole una legge.
Che poi sarebbe un principio di civiltà giuridica, ma non divaghiamo.
E le multe allora, quelle già elevate, perché “le hanno fatte, è sicuro, l’ho letto su Facebook”?
Quelle sono state irrogate laddove un divieto di capitozzatura è stato inserito, con le dovute eccezioni “ove necessario”, in appositi regolamenti comunali prevedenti, altresì, le relative sanzioni, così come, nell’esempio che ricordavo, circa il divieto di lavaggio auto in Ancona: perché la legge prevede che alla violazione di precetti contenuti nei Regolamenti degli Enti locali possa applicarsi una sanzione amministrativa.
Che poi anche su questo oggi, in dottrina giuridica, si dibatte, ma non divaghiamo.
Morale della favola non fatevi mai impressionare da chi vi cita le leggi, magari a memoria; non sempre conoscere la legge significa conoscere il diritto; spesso, anzi, è il contrario.
di Danilo MARINO
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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