Il caldo preannunciava che sarebbe stata un’ennesima torrida stagione ma nessuno avrebbe immaginato fino a quel punto. Trenta anni sono trascorsi da quel maledetto sabato e il mito di quel prode magistrato, raffinato cervello investigativo, vero nemico di un’efferata schiera di spietati mafiosi, viaggia da allora tra le conoscenze della parte giovane della nostra nazione sia per il coraggio dimostrato nelle fasi della sua carriera ma anche per il modo come la sua vita si è conclusa.
Persino il meraviglioso Ficus Magnolia che si trova da lungo tempo a vivere in Via Notarbartolo 23 a Palermo, avrebbe mai immaginato di poter diventare così famoso e simbolo della legalità, lui che aveva sempre visto Giovanni arrivare sempre molto trafelato, sospinto dalle sirene delle sue scorte e sempre senza tempo da dedicare ad un piccolo apprezzamento per quell’albero.
Era contento Giovanni quel giorno, molto motivato, sempre sul pezzo e con l’entusiasmo di trascorrere il fine settimana nella sua città insieme alla sua amata compagna.
Così, in maniera decisa, aveva fatto cenno a Giuseppe, il suo autista, di accomodarsi dietro nella Fiat Croma che lui personalmente avrebbe guidato. Il corteo delle auto è quindi pronto; la Croma di Giovanni e Francesca è quella che viaggerà al centro preceduta e seguita dalle altre due Croma dei ragazzi della scorta (6 angeli che mai lasciavano soli i loro protetti).
Si scioglie il nodo della cravatta, Giovanni e si sfila anche la giacca. Ha voglia di libertà dopo un’intensa settimana di lavoro svolto lontano dalla sua terra.
Non è abituato ad abbassare la guardia perché sa bene che il nemico che sta combattendo è perfido, è spietato, non perdona e già in diverse occasioni aveva fatto arrivare segnali preoccupanti.
Il nemico che sta combattendo è quello che lui ha scelto di debellare, di respingere, di buttare fuori da un mondo che non merita; un nemico difficile, radicato nel territorio con grandi orecchie e occhi e con ramificazioni tentacolari. Un nemico che insegna a non fidarsi di nessuno.
Ma quel giorno era tranquillo Giovanni; a breve sarebbe arrivato a casa e poi giù a preparare qualcosa, a fare un po' di telefonate e un meritato relax.
Si! Si sentiva tranquillo. Un breve tratto di autostrada in quel sabato pomeriggio e poi il tempo per sé. Quelle montagne, quel cielo limpido, quell’aria calda e tipica facevano da cornice alle sue sensazioni e la rassicurante presenza di Francesca lo confortava nei suoi pensieri.
Chissà se mai aveva fatto caso a quel bianco casottino posto in cima a quel costone di roccia? Chissà se mai aveva immaginato che quell’autostrada poteva nascondere una così grande insidia, un agguato di tale specie, un piano così perverso per colpirlo?
Certamente lo sosteneva la fierezza e la consapevolezza del lavoro che stava compiendo e la durezza del nemico non ha mai costituito in lui elemento per arretrare nemmeno di un millimetro. Abbracciando il mestiere di chi segue la giustizia, aveva maturato la piena consapevolezza del suo compito e aveva assunto tutti i rischi che ne sarebbero derivati. La sua vita sempre blindata è stata l’esempio di cosa si può rinunciare da vivi se si interpreta un ruolo da protagonista nella vita democratica dello Stato che si rappresenta.
Lo sguardo di Giovanni era sulla strada; i suoi movimenti attenti e veloci; la sua mente concentrata.
Poi decide di rallentare un attimo per allungare la sua mano e prendere un mazzo di chiavi dal cruscotto e, proprio in quell’istante (alle 17.58 del 23 maggio 1992) un altro Giovanni (Brusca), decide che è il momento giusto per decretare la fine, per dire basta alle persecuzioni e per confezionare la vendetta attentamente studiata e attesa da lungo tempo.
Il tritolo esplode al passaggio della prima auto determinando la morte dei 3 uomini vi viaggiavano: Antonio il capo-scorta, Vito e Rocco. L’auto di Giovanni e Francesca a causa della voragine si schianta contro un muro di cemento e detriti. Giovanni è ferito; forse cerca di sincerarsi delle condizioni di Francesca. Il suo autista che sedeva dietro Giuseppe Costanza rimane miracolosamente illeso così come gli altri agenti della terza auto. Il gesto di Giovanni di rallentare e la sua scelta di guidare la Croma bianca hanno almeno salvato la vita a questi quattro uomini.
E tu Giovanni, cosa hai pensato in quegli istanti? Cosa ti è passato nella mente dal momento della deflagrazione a quando hai esalato l’ultimo respiro mentre ti portavano in ospedale?
Ci sarebbe piaciuto saperlo ma poco importa: ti abbiamo perso in quel caldo pomeriggio e ci siamo dovuti abituare alla tua assenza; alla tua grande assenza. Francesca non ha volto lasciarti e alle 22 ti ha raggiunto in cielo.
Grazie Giovanni, Grazie Francesca; Grazie Antonio, Vito e Rocco. Grazie Giuseppe per come hai ubbidito. Grazie Paolo, Gaspare e Angelo che avete pianto amare lacrime per i vostri compagni.
Ricorderemo sempre quel tuo baffetto caro Giovanni e quel tuo beffardo sorriso. Sei stato un raffinato combattente con la tua superlativa intelligenza. Hai tracciato nuove strade e nuove modalità investigative; ma soprattutto ci ha dato l’esempio, hai incarnato lo Stato come deve essere.
E poi in fondo hai dato grandi lezioni di umanità e di intelligenza che possono essere virtù decisive quando si decide di fare bene il proprio lavoro.
Chissà quando arriverà la fine della mafia che stiamo aspettando e che tu ci hai insegnato essere un “fenomeno umano e come tale con un inizio e una fine….”.
Grazie davvero! A noi il seguito. Anche il tuo albero è sceso in campo per diventare simbolo della legalità.
di Mare CALMO
La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.
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