Ultime della sera: “Il mondo di Salvino”

“Tra pittura e follia, Salvino Catania si racconta in una chiacchierata con Paolo Asaro"

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
09 Aprile 2021 19:02
Ultime della sera: “Il mondo di Salvino”

di Paolo ASARO

MAZARA DEL VALLO, AGOSTO 2009

Ma è difficile che io possa vedere me stesso per quello che faccio, per quello che sono e per quello che oggettivamente possa essere il mestiere di un artista, però credo che un po' è un perdigiorno che cerca colori, musiche recondite per tirarle fuori, no? Quindi è un occhio invisibile necessario alla società senza del quale forse non ci sarebbe stato né progresso né l’evoluzione.

L’artista non è detto che debba essere un anticonformista, io ero anticonformista però se adesso vogliono un quadro, o me lo pagano bene, perché io ci butto l’anima nel fare un quadro, o se ne vanno al bordello. I quadri debbono pagarli, o ti pagano o li mandi a fare in culo!

Io ho iniziato che mi era venuta la meningite, e allora dice, per si e per no, fategli fare l’artista, il medico gli diceva, anche se è rimasto mezzo cretino e pazzo, dice, nella schiera di tutti quanti sono gli artisti, come sono considerati, lui potrebbe anche aver fortuna. Questo da bambino, no? Io ho iniziato perché mi hanno predestinato così, anche.

A Roma volevo diventare famoso, ci sono andato io dopo aver finito il Liceo Artistico, nel ’64, poi è subentrato il presessantotto, i primi casini, è successo un qualcosa di scomodo nella pensione dove abitavo e me ne sono dovuto tornare, con un mio grande trauma perché volevo diventare famoso a tutti i costi.

No io c’ho addirittura una conflittualità di base tra quella che è la mia immagine e quello che sono io, cioè io non mi identifico nello specchio, mi identifico solo quando dipingo… E poi a me serviva come fatto esperenziale, ho fatto pure un tentativo di farmi dichiarare pazzo perché qui, basta che tu metta la mano al pennello che già sei pazzo. Gli esempi che più hanno in mente sono Van Gogh e l’altro pittore naif Ligabue, no? Quindi, o sei un Ligabue o sei un Van Gogh, devi essere necessariamente pazzo e io, a poco a poco ho superato pure questa…

No ma va da sé ormai, io c’ho fatto il callo di essere in mezzo ad un paese di ignoranti che ti vedono sempre con un occhio strano.

Si, l’artista è colui il quale vive la sua profonda solitudine, perché ha scelto l’arte.

No, mi ha riempito, una storia che è durata tre anni, quindici anni della mia vita, perché tutt’ora, se la vedo, rivivo con piacere quei tre anni dedicati ad una donna. La donna credo che sia un male necessario, è una narcosi che ti aiuta a sopravvivere, altrimenti non potresti vivere. La donna è l’illusione, il sogno… siamo in un mondo di pazzi…

La religione è un rito che si compie ma, chissà che cosa ci sia di vero dietro tutto questo Gesù Cristo… no, credo che sia un’invenzione Cristo. Anche Dio è un’invenzione. L’ha inventato perché, fin dall’età della pietra, l’uomo, in quanto animale civile, si è contraddistinto perché ha suddiviso le sue mansioni: c’è chi fa il carnefice, c’è chi fa la vittima, c’è chi fa il salvatore, il ruolo della società è questo. Le bestie sono sagge per istinto, l’uomo per riflessione, l’uomo è presente, passato e futuro, come dice Schopenhauer.

Io leggo ogni tanto dei libri di filosofia, apro qualche libro e leggo. Però, in questo periodo che ho avuto degli esaurimenti nervosi, mi sono fermato, non leggo più.

È kierkegaard, parla dell’angoscia, ma basta dire kierkegaard e parlare di Francis Bacon è la stessa cosa. Bacon, come tutta la nuova figurazione italiana, si basava sull’angoscia, su questa disadattabilità dell’uomo, su questo disagio intellettuale e intellettivo che lui ha nei riguardi della società. L’uomo è solitudine immensa, immane solitudine. Io penso che sono un po' quello della “Città del futuro” di Tommaso Campanella, vorrei vedere le cose in maniera diversa. Mi ci trovo male in questa società però, cambiarla radicalmente… chissà che non sia possibile un giorno.

Ma perché è un paese dove c’è la chiesa che domina, la chiesa ti (opprime), rende tutto fermo. Dovremmo eliminare i preti. Perché è anche una società che non vuole: i sedili davano fastidio… il siciliano, in particolare, non vuole essere amministrato e poi si lamenta che non lo sanno amministrare. Questo mi da fastidio perché né fanno né fanno fare.

C’è una crisi di valori, è da trent’anni, quarant’anni che si fanno istallazioni, dappertutto, e la pittura col pennello non esiste più malgrado i tentativi di Achille Bonito Oliva di rimetterla in sesto.

Si, comanda il capitale, in effetti, il capitale tutto può ma comanda anche l’engagement. Se tu facevi parte di un partito, a suo tempo, vedi Picasso che era collegato al Partito Comunista Francese, Guttuso con quello italiano… e quindi è un fatto anche di politica, di mercato.

No io ormai come artista sono… perché c’è una crisi… una crisi economica che mi porta a riflettere molto su quello che spendo come colori, come tele, come energia impiegata per fare un quadro e allora… c’ho un momento di pausa che credo che difficilmente possa interrompere negli anni a venire. I quadri o si vendono bene o altrimenti… Se vai da un corniciaio e devi comprare un poster, costa più il poster che un quadro mio.

Ma, fin quando ci sarà l’uomo, mi diceva un amico mio che purtroppo adesso è morto, Rolando Certa, ci sarà l’arte, l’arte non potrà morire mai.

-E allora che senso ha?

-Ha senso perché è il futile e il banale, l’arte, secondo me, ha molto più non senso che senso. Anche l’artista è uno di quelli che cerca chissà che cosa, è un sognatore spento in un consumismo esasperato qual è la società contemporanea. Qui ho ancora la possibilità di dipingere alla maniera antica, mentre fuori, con tutte le manie avanguardistiche, non avrei potuto farlo.

No, perché l’artista ha un vantaggio, tutto sommato, scarica le sue angosce, i suoi traumi e li mette sulla tela e quindi ha un modo di liberarsi, è una psicoterapia che lui fa a sé stesso. Come diceva Picasso, dipingere è il mestiere di un cieco, lui non dipinge ciò che vede ma ciò che ha visto, ciò che dice a sé stesso di ciò che sente. Insomma io faccio degli esperimenti di pittura perché in effetti, la pittura chissà dov’è andata a finire.

Adesso credo di essere su un piano di normalità. Ho il problema dei soldi perché, mentre prima con la pittura lo risolvevo il problema dei soldi, adesso non più. Perché io se non dipingo non ho nessun introito.

Bisogna trovare un nuovo modo per esprimersi, non lo so, tu parlavi di Man Ray, di Duchamp, tutti questi dadaisti che hanno voluto rompere con gli schemi tradizionali. Però è pur vero che un artista è un artista se c’è l’oggetto che produce, il gallerista e anche il critico. Loro dicevano queste cose, i dadaisti. Anche lo stesso Van Gogh: se vedi le sue cose, sono piccole. Lo stesso Monet… Quindi esiste il mito che ti fa andare avanti questa società dei consumi. Tutto viene assimilato con una facilità… esiste l’omologazione, quello ti volevo dire.

Perché la pazzia è il massimo della libertà. In un mondo di razionali, se tu sei pazzo non pensi, non hai a che fare con te stesso, cessa il rapporto interiore. L’artista è quello che dovrebbe camminare nudo, come qualche volta ho cercato di fare io. Perché siamo in una società di travestiti, ci si maschera tutto, non siamo quelli che siamo veramente. Siamo un po' quello che gli altri decidono che noi siamo. Penso alla morte, che io ho 64 anni, mi rimane poco da vivere… penso che andrò a fare compagnia ai vermi.

Grazie Paolo

La rubrica “Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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