Ultime della sera: “Era di maggio”

Lettera al dottor Falcone su un volo Roma-Palermo, trent’anni dopo.

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
24 Maggio 2022 18:45
Ultime della sera: “Era di maggio”

Caro dott. Falcone, se lo ricorda il mare di Palermo quel 23 maggio del ‘92?

Il clima mite di quei giorni preannunciava l’arrivo dell’estate e dal finestrino dell’aereo lei guardava il mare tingersi dei colori del sole ormai basso sull’orizzonte

Il volo da Roma a Palermo è quasi tutto sul mare. All’arrivo la costa sicula ti si para innanzi all’improvviso e quando l’aereo plana sembra che quella immensa distesa di blu voglia inghiottirti. Oggi, 23 maggio 2022, il mare è una tavola azzurra e da quassù, durante l’atterraggio, riesco a vedere il fondale basso, gli scogli, le alghe. Persino i pesci mi pare di scorgere. Ogni volta il cuore sobbalza, penso di finire in acqua e invece mi si apre davanti la pista dell’aeroporto, e l’aereo tocca terra.

Deve aver pensato questo anche lei, dottor Falcone, di fronte a quel blu che non finiva mai, un pomeriggio di trent’anni fa, quando rientrava per l'ultima volta in Sicilia e da lassù seguiva con lo sguardo i contorni della costa rocciosa e le sue insenature. Cielo e mare, e poi finalmente a casa, avrà pensato. E invece pochi chilometri in auto e poi il boato, l’esplosione, quel cratere che in un attimo si è preso le vostre vite e ha messo fine alla nostra giovinezza. Perché da quel giorno per noi è cambiato tutto, caro dottore.

Noi abbiamo finito per maledirla tutta questa sfacciata bellezza, lo sa? Cosa poteva più importarci del sole, del mare, di Mondello, di Sferracavallo, di Cefalù, di quelle estati che non finivano mai se la mafia continuava a far saltare in aria proprio voi che lavoravate per rendere questa terra degna di tanta bellezza?

Il caso ha voluto che tornassi anch’io da Roma, questo 23 maggio, in un pomeriggio soleggiato uguale a quello di trent’anni fa, quando lei, sua moglie Francesca e gli uomini della scorta siete stati fermati sull’autostrada da un’infinità di tritolo arrivato in Sicilia appositamente per voi. Cinquecento chili, tutto quel tritolo c’è voluto per fermarla, dottor Falcone, lei che, consapevole di essere “un morto che cammina”, un sopravvissuto ai tanti colleghi e amici magistrati e poliziotti barbaramente assassinati, nonostante la solitudine e la paura, non si era mai fermato. Il coraggio e la paura, appunto. Sa che se tanti di noi, crescendo, hanno imparato a dosare bene questi due stati d’animo, lo devono a lei? “Il coraggio non è la mancanza di paura, ci diceva, ma saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare da essa”.

Io, che ormai vado dove mi porta La cala a parlare di soprusi e ingiustizie, torno oggi (ieri,ndr) a Palermo dopo aver partecipato ad un convegno intitolato a Piersanti Mattarella ma che quest’anno, per la particolare ricorrenza, ha ruotato molto intorno al ricordo suo e del dottor Borsellino. Questo anniversario non solo rinnova la memoria ma anche il dolore, che oggi brucia ancora come una ferita insanabile.

Nel ‘92 ero una giovane studentessa universitaria che viveva in una casa di fronte il policlinico di Palermo. Era un caldo sabato di maggio e all’improvviso, come in un film, si scatenò un inferno di ambulanze, elicotteri, sirene di auto delle forze dell’ordine.

Sembrava che si fossero aperte le viscere della terra, e da lì uscisse un dispiegamento di forze mai visto prima. Ma la terra si era aperta davvero, alcuni chilometri più in là. Le ambulanze erano tantissime, alcune entravano dall’ingresso del Civico, altre dal Policlinico. Comprendemmo che qualcosa di terribile fosse accaduto, accendemmo la tv e l’edizione straordinaria del tg dava la notizia di un attentato in autostrada che avrebbe coinvolto l’auto del giudice Falcone. Tutta l'Italia pregò per lei in quei minuti, sperando in un miracolo. Invano. Lei, dottor Falcone, sarebbe spirato da lì a pochi minuti.

Ricordo il dolore e lo smarrimento di quelle ore, ma soprattutto la rabbia. Era la cronaca di una morte annunciata, e quella rabbia sarebbe stata più devastante due mesi dopo, dopo via D’Amelio. Nel 92 Palermo per noi ragazzi era un buco nero che ci poteva inghiottire, ci sarebbero voluti anni prima di riuscire ad attraversarla a piedi di sera, di notte, senza paura. Ricordo i funerali a san Domenico, già da allora capimmo, dottor Falcone, che chi doveva stare dentro stava fuori, e viceversa.

Come disse il generale Dalla Chiesa, negli omicidi di mafia la prima corona di fiori che arriva è sempre quella del mandante. Quel giorno il cielo era vestito a lutto e spruzzava acqua ad intermittenza sulla folla assiepata in piazza san Domenico e che si allungava su gran parte della via Roma. Quel giorno qualcosa, in questa città indolente e indifferente, cominciò a cambiare. Sono trascorsi trent’anni, dottor Falcone, noi siamo cresciuti, ma quella fiammella di speranza l’abbiamo tenuta accesa, nonostante i processi infiniti, i depistaggi, le menzogne, una giustizia che per lei e il dottor Borsellino non è mai arrivata.

Quest’anno compirò gli stessi anni che aveva lei quando la fecero saltare in aria, e penso che 53 anni sono tremendamente pochi per morire. Non la immagino più come un signore di mezza età ma come un uomo giovane che aveva ancora tante cose da fare. E che, soprattutto, non voleva essere un eroe: gli eroi sono sempre morti, lei invece voleva vivere, amare Francesca, nuotare nel mare dell’Addaura, passeggiare per le strade di Palermo, fare progetti per il futuro.

Oggi, dottor Falcone, questo aeroporto dove sto atterrando in questo 23 maggio e dove atterrò lei 30 anni fa porta il suo nome e quello del dottor Borsellino. In questi giorni accoglie una bellissima mostra fotografica sulle vostre vite. Vi hanno intestato scuole, strade, piazze, ma avervi intitolato un aeroporto è la cosa più bella che potessero fare per rendervi davvero immortali. Qui adesso arriva gente da ogni parte del mondo, l’aeroporto è un crocevia di colori, lingue, etnie, culture. Palermo è meta di viaggiatori che hanno finalmente scoperto la Sicilia e le sue bellezze, quelle che anche noi abbiamo ricominciato ad amare. Perché è tempo di guardare avanti. Adesso, sa, non ce lo dicono più che i siciliani sono tutti mafiosi.

Scendo dall'aereo e allargo lo sguardo: l'aria è tersa e c’è una luce bellissima, quella dell’ora che volge al tramonto, e in questa luce, dottor Falcone, ci siete anche lei e il dottor Borsellino.

di Catia CATANIA

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

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