Ultime della sera: “Empatia, questa sconosciuta”

Siamo davvero Homo empathicus come sostiene Jeremy Rifkin?

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
02 Settembre 2022 18:40
Ultime della sera: “Empatia, questa sconosciuta”

Il termine “empatia” indicava per i greci il rapporto emozionale che legava l’autore-attore-cantore al suo pubblico. Alla fine dell‘800 fu utilizzato dal filosofo e psicologo Theodor Lipps quale attitudine al sentirsi in armonia con l’altro. Possiamo distinguere l’empatia in: positiva per la quale si intende la capacità del soggetto di con-gioire, saper cogliere la gioia altrui; e empatia negativa di chi non riesce a empatizzare rispetto alla gioia altrui, ciò accade quando un’esperienza fa da barriera.

Ma qual è il meccanismo che accende l’empatia nell’individuo?

Chi entra in empatia con il prossimo fa un passo avanti verso l’altro perché fa un passo indietro dentro se stesso: fare un passo indietro, non è una ritirata, né un gesto di vigliaccheria; non è un segno di debolezza, né di sottomissione; non è paura, né un gesto di ritrosia. Il fare un passo indietro permette di mettersi in sintonia con l’altro, di immedesimarsi nei perché del suo comportamento, nei quanto del dolore, nei come della sofferenza, per poi fare un passo avanti e prestare le sue orecchie, le sue braccia, tendere la sua mano, donare un sorriso; alleggerire gli altrui fardelli, condividere gli altrui traguardi. E poi c’è l’altra faccia della medaglia: il mondo è fatto di specchi che riflettono immagini uguali alle nostre: secondo lo statunitense Jeremy Rifkin, in un saggio del 2010 intitolato La civiltà dell’empatia, l’uomo moderno è naturalmente predisposto all’empatia, intesa come capacità di immedesimarsi negli altri – genere umano o animale – attraverso i cosiddetti ‘neuroni specchio’. Secondo Rifkin «sono circa 20.000 anni che non siamo più homo sapiens-sapiens, ma “homo empathicus”: leghiamo tra di noi, socializziamo, ci occupiamo l’uno dell’altro, siamo cooperativi […] Ci basiamo su tre colonne portanti per il nostro benessere: la socializzazione, la salute (igiene e sanità, nutrizione), e la creatività.

Quando una di queste tre colonne viene a mancare, l’empatia è repressa e vengono fuori i nostri alter-eghi, da cui la violenza, l’egoismo, il narcisismo ecc.» Per basare il nostro benessere su le tre colonne di cui parla Jeremy Rifkin, dovremmo innanzitutto chiederci ‘come’ viviamo: se siamo consapevoli che la nostra vita, in rapporto all’infinita linea del tempo, è poco meno di un soffio, poco meno di un respiro che si interseca con altri respiri, con altre mani, piedi, occhi, orecchie, bocca, naso.

Ma come utilizziamo i nostri organi di senso? Sappiamo ascoltare al di là di noi stessi? Sappiamo vedere al di là del nostro naso? E poi c’è l’intuito, il senso che ristagna sottopelle e ci avverte di alcune percezioni, come la paura o il disagio, con un prurito alla nuca, un dolore alla bocca dello stomaco, un'alterazione del ritmo cardiaco, ci invia una serie di vibrazioni che, indirettamente, coinvolgono gli altri sensi. Probabilmente il meccanismo che accende l’empatia avviene proprio nel momento in cui si è capaci di affidare al proprio ‘intuito’. Però magari si scappa all’affiorare del “bisogno altrui” e, piuttosto che tendere la mano e fare un passo avanti, si voltano le spalle e ci si precipita più lontano che si può da te - da me - da noi - da loro… e qui si crea un paradosso del nostro tempo: queste persone c’è da comprenderle, loro si allontanano per tutelarsi, per proteggersi.

Ed ecco che avviene l’empatia al contrario: queste persone che scappano, bisogna pur capirle!

Siamo davvero Homo empathicus, come sostiene Rifkin? In tutta onestà pare il contrario: sembra che il processo di chiusura verso l’altro sia in graduale avanzamento. Magari siamo assuefatti al dolore virtuale? (quello, per intenderci, che vediamo attraverso il telegiornale). Eppure, quale sia il motivo del fenomeno “braccia conserte”, è dannoso, per la società tutta, non fare quel passo indietro per mezzo del quale, poi, si è capaci di fare un passo avanti. Se, come afferma Rifkin, l’empatia si sviluppa quando avvertiamo il benessere interiore perché sostenuti dalle tre colonne portanti, allora sarebbe il caso che quando una tra socializzazione, salute e creatività viene a mancare - impedendoci di gioire o aiutare l’altro -, ognuno indaghi in modo autonomo, personale e cosciente per individuare quali colonne portanti si debbano riconquistare.

Scendere a patti con se stessi: è questo il modo in cui potersi aprirsi all’ascolto e alla comprensione. Ma affinché l’essere umano sia partecipe delle azioni, emozioni e sentimenti dei suoi simili, deve spogliarsi di se stesso, e vestirsi di generosità d’animo. L’empatia, come anticamera dell’amore e dell’altruismo, potrebbe essere la chiave giusta per aprire gli animi alla gioia del condividere e del sentirsi in armonia con l’altro. Certo questo metterà a riposo l’ego ma farà affiorare quella parte che si nutre di gioia altrui: non dimentichiamo che l’atto del donare arricchisce anche colui che dona.

di Giovanna FILECCIA

La rubrica Le ultime della sera” è a cura della Redazione Amici di Penna.

Per contatti, suggerimenti, articoli e altro scrivete a: amicidipenna2020@gmail.com

Foto gallery

Ti piacciono i nostri articoli?

Non perderti le notizie più importanti. Ricevi una mail alle 19.00 con tutte le notizie del giorno iscrivendoti alla nostra rassegna via email.

In evidenza