L’opera è ispirata, come spesso avviene in Pirandello, a una sua novella di qualche anno prima, “La verità”, che l’autore rielabora e amplia in forma teatrale, scritto in dialetto siciliano (“A birritta cu’ i ciancianeddi) e rappresentato per la prima volta a Roma il 27 giugno 1917.
L’anno dopo (1918) Pirandello la ripropone, questa volta in italiano, sviluppandola in due atti. L’azione si svolge in una cittadina siciliana di provincia. I protagonisti sono: Ciampa, un umile impiegato che svolge da anni il lavoro di scritturale presso un facoltoso uomo di affari; sua moglie, giovane e avvenente; donna Beatrice, moglie del suo principale e altri personaggi che caratterizzano una vicenda che appare inestricabile. Da tempo la giovane moglie di Ciampa e il padrone hanno una relazione. Ciampa lo sa, come tutto il paese, ma è come se nessuno sapesse.
Leonardo Sciascia, lettore critico acutissimo di Pirandello, ne ha dato una spiegazione storico-sociologica nel saggio “Pirandello in Sicilia”: per secoli i contadini dipendevano anima e corpo dai loro padroni; la miseria, l’indigenza e piccoli o grandi reati li spingevano in galera anche per lunghi periodi. La loro famiglia, in particolare la moglie, restava a carico del padrone, che provvedeva ai suoi bisogni, alla sua vita, ma spesso estendendo questa sorta di patria potestà e tutela alla sfera sentimentale, diventando in assenza del legittimo sposo, l’amante.
Questa situazione di illecito sessuale, di per sé disonorevole, veniva però accettata da tutti, anche dal marito defraudato, purché non desse adito a chiacchiere e si salvassero le apparenze.Nel caso di Ciampa però Beatrice, donna tutto d’un pezzo, scoprendo la relazione, la rende di dominio pubblico; suscita uno scandalo, rendendo visibile al piccolo paese ciarliero la vergogna del povero Ciampa. Questi pertanto è chiamato a ristabilire le apparenze (che sono più importanti della verità nel sistema di valori e nel modo di pensare di quell’ambiente) e minaccia apertamente di uccidere la moglie e il padrone, ma nello stesso tempo ammette la sua ripugnanza a compiere quell’azione.
Pensa e ripensa (è, pirandellianamente, un ragionatore instancabile, sottilissimo) riesce a escogitare una soluzione di comodo che eviti il delitto senza macchiare la reputazione sua e del suo padrone. Ciampa cerca di evitare anche la denuncia tentando di persuadere la signora Beatrice a girare la corda “seria”, ovvero, a sua detta, quella che fa ragionare ed evita i disastri.
Secondo Ciampa portiamo tutti sulla fronte tre corde come d’orologio: ”la seria, la civile, la pazza. Sopra tutto, dovendo vivere in società, ci serve la civile, per cui sta qua in mezzo alla fronte...; su la tempia destra, c’è la corda seria, per parlare seriamente, a quattr’occhi; a sinistra la corda pazza...quella che fa perdere la vista degli occhi... ed uno non sa piu’ quello che fa”. Ciampa riesce a capovolgere la situazione in suo favore proponendo uno stratagemma: bisognerà far credere a tutti che Beatrice sia folle e che il tradimento del marito sia stato una sua montatura.
L’idea di Ciampa piace a tutti tranne naturalmente a Beatrice. Messa sotto pressione da sua madre e dal fratello Fifì, Beatrice viene alla fine convinta che sia meglio – per il bene di tutti – recitare il ruolo della pazza e farsi quindi ricoverare per qualche tempo in una casa di cura. Come Beatrice impara a sue spese, mostrare in faccia a tutti la nuda verità si rivela assai problematico:
“BEATRICE: Pazzo da chiudere sarete voi! CIAMPA Nossignora, Lei. Per il suo bene! E lo sappiamo tutti qua, che Lei è pazza. E ora deve saperlo tutto il paese. Non ci vuole niente, sa, signora mia, non s’allarmi! Niente ci vuole a far la pazza, creda a me! Gliel’insegno io come si fa. Basta che Lei si metta a gridare in faccia a tutti la verità. Nessuno ci crede, e tutti la prendono per pazza”
Pirandello instaura dunque un corto circuito tra verità e follia, un cerchio fatale da cui non si esce e in cui si resta rinchiusi ed emarginati per sempre dalle convenzioni sociali, bollati con il marchio infamante della pazzia. L’opera è uno dei titoli più rappresentati dalle compagnie teatrali italiane ancora oggi. Memorabile l’interpretazione di Eduardo De Filippo, che ne ha dato negli anni settanta anche una versione televisiva. A Mazara l’opera è stata rappresentata negli anni 80 dal “Teatro 2” con tante repliche in provincia (nella foto una scena iniziale con Maria Pia Sammartano (Beatrice), Salvatore Giacalone (Ciampa), Nicola Cristaldi (Fifì).
Salvatore Giacalone