Pescatori sequestrati a Bengasi, identificato il loro aguzzino

Un articolo odierno su Avvenire parla del “torturatore” di Bengasi ove rimasero prigionieri i pescatori per 108 giorni

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
22 Dicembre 2021 15:48
Pescatori sequestrati a Bengasi, identificato il loro aguzzino

Ad un anno dalla liberazione dei 18 pescatori sequestrati a Bengasi, nella Libia Cirenaica, nelle carceri del generale Khalifa Haftar, emergono nuovi particolari ai più sconosciuti sulle violenze e le sevizie ricevute durante i 108 giorni di prigionia e salta fuori il nome del loro aguzzino. Ne parla proprio oggi in un articolo su Avvenire il giornalista Nello Scavo.

Tutto ebbe inizio il 1 settembre 2020, quando i 18 pescatori (otto mazaresi, sei tunisini, due senegalesi e due indonesiani), a bordo di due pescherecci di Mazara del Vallo, "Antartide" e "Medinea", furono sequestrati dalle motovedette libiche e accusati di avere pescato in acque che la Libia invece rivendica come proprie ma che in verità sono internazionali in quanto la ZEE libica mai riconosciuta dagli Stati rivieraschi. Dopo 108 giorni di prigionia i pescatori vennero liberati il 17 dicembre dopo che in quella stessa giornata l’allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte e il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si erano recati a Bengasi per incontrare il generale Haftar. (in foto copertina i 18 pescatori nel porto di Bengasi prima di riprendere il mare in direzione Mazara del Vallo).

Proprio in questi giorni grazie ad un vecchio reportage dell’emittente francese “Arte” mostrato ai pescatori, è stato possibile identificare il volto del boia di Bengasi; colui che ogni notte faceva ascoltare ai pescatori siciliani il pianto disperato dei torturati in nome di Haftar o che con gli scarponi pesanti saltava sui malcapitati che pestava con i tacchi mentre sfondava la schiena a colpi di frusta e ginocchiate. Il suo è Bashir Al Jahni. La sua figura era emersa già nel libro libro “La Cala. Centro giorni nelle prigioni libiche”, scritto dal giornalista Giuseppe Ciulla e da Catia Catania e nel quale ricostruite, attraverso le testimonianze e i ricordi dei pescatori quei terribili giorni, pieni di paura, minacce e sevizie.

Finalmente, dopo un anno dalla liberazione, in cui alcuni dei pescatori hanno smesso per sempre di gettare le reti, quell’uomo che tanto dolore ha causato è stato finalmente identificato; bisognerà capire però se potrà essere assicurato alla giustizia internazionale in quanto la Libia è di fatto un Paese diviso e la Cirenaica non è uno stato formalmente riconosciuto.

Proprio oggi invece i pescatori e le loro famiglie, accompagnati dal vescovo di Mazara del Vallo, Domenico Mogavero, hanno incontrato Papa Francesco che li ha esortati a continuare nel loro lavoro assicurandone la vicinanza. 

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