Isis in Libia, da più parti paura per i pescatori siciliani? Ma qual’è effettivamente la situazione?

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
03 Marzo 2015 17:42
Isis in Libia, da più parti paura per i pescatori siciliani? Ma qual’è effettivamente la situazione?

Non passa giorno da un mese (a partire da quando il Ministro degli Esteri Gentiloni avvertì il rischio per gli italiani in Libia dopo la chiusura dell’Ambasciata e la possibilità di infiltrazioni dell’Isis fra i migranti che con i barconi raggiungono la Sicilia) che a qualsiasi livello si parli di una seria minaccia per il nostro Paese, ed in particolare per quei pescatori siciliani che con i loro pescherecci lavorano nelle acque antistanti la Libia.

Bisogna però ricordare che dal febbraio 2005, dopo l’estensione da parte del Governo di Gheddafi del limite delle acque territoriali libiche 62 miglia oltre le 12 convenzionali, salvo pochissimi pescherecci (alcuni con soci libici ed altri “mordi e fuggi”), la minaccia reale di sequestri all’interno della stessa “zona protetta alla pesca” (vedi anche le ordinanze delle Capitanerie italiane) ha evitato alla marineria mazarese in particolare (quella interessata alla pesca del gambero rosso nei fondali sabbiosi davanti la Libia) di evitare grossi problemi.

Adesso con la presenza di frange dell’Isis in Libia la questione acque territoriali è tornata d’attualità, il problema però c’è sempre stato; infatti anche nel dopo-Gheddafi sono stati sequestrati dai miliziani, quelli di Bengasi, pescherecci mazaresi a circa 40 miglia dalla costa (uno di loro, il motopesca “Daniela L” si trova sotto sequestro a Bengasi dall’ottobre 2012).

Diciamo però la verità, agli ultimi Governi italiani, da Mario Monti a Matteo Renzi, dei pescatori mazaresi glien’è importato ben poco. In Libia, il nostro Paese ha infatti interessi maggiori da difendere e per fare un esempio su tutti vi sono quegli impianti gestiti dall’Eni per non parlare di altre gruppi le cui lobby sono state sostenute dai vari Governi negli ultimi decenni. Cosa volete che conti la pesca siciliana capace di fatturare pochi milioni di euro in un anno di fronte ad interessi più grossi?

Dal punto di vista strategico però legittimare un intervento militare in Libia con la presunta difesa di vite umane (quelle dei pescatori) consiste in un grosso escamotage per avere il via libera dall’opinione pubblica per un intervento in Libia che però è già iniziato attraverso l’Egitto, Paese arabo che Matteo Renzi ha visitato di recente stabilendo accordi con il suo presidente Al Sisi. L’Egitto da giorni, dopo la decapitazione di alcuni suoi cittadini di religione cristiano-copta in Libia dai miliziani dell’Isis, bombarda la sua aviazione gli avamposti dell’Isis la cui avanzata sembra inarrestabile verso Tripoli dopo aver conquistato la città di Derna.

Ma qual è la reale situazione in Libia? Da quando è morto il colonnello Gheddafi (1969-2011), il conflitto civile libico ha riguardato principalmente le forze fedeli all'ex rais - al potere per 42 anni - e le varie forze rivoluzionarie. Oggi la situazione è molto più confusa e incerta. Al momento ci sono due fazioni rivali che controllano la maggior parte del territorio libico:1) Est della Libia: quest'area è prevalentemente controllata dalle truppe del governo di Tobruk, una città costiera nel nordest del Paese, non lontana dal confine con l'Egitto.

Tuttavia la città più importante della regione, Bengasi, non è pienamente sotto il controllo dell'esercito di Tobruk.Alcune aree di Bengasi infatti sono nelle mani di varie milizie, tra cui Ansar al Sharia, che vorrebbe instaurare la legge islamica in tutta la Libia e considerata molto vicina ad al-Qaeda e allo Stato islamico.Anche la città di Derna, nel nordest del Paese, a metà tra Bengasi e Tobruk, è sotto il controllo di diverse fazioni di jihadisti, alcune delle quali alleati con l'Isis (è per questo che i recenti bombardamenti aerei condotti dalle forze militari egiziane, in collaborazione con il governo di Tobruk, hanno interessato principalmente quest'area).2) Ovest della Libia: ci sono i ribelli di Alba Libica (Libyan Dawn), composti da un mix di islamisti e milizie provenienti da Misurata; secondo alcuni rappresentano il gruppo più potente, essendo in pieno controllo della città di Misurata e di una parte di Tripoli, la capitale della Libia (vedi mappa sotto).3) Khalifa Haftar: in tutto questo gioca un ruolo fondamentale anche la figura del generale Khalifa Haftar, a capo dell'esercito di Tobruk, e già comandante sotto Gheddafi.4) Milizie e ribelli: i rivoluzionari divisi in una miriade di milizie, armate e ben organizzate che ricalcano la suddivisione tribale della Libia.

Queste milizie sono unite contro il generale Khalifa Haftar, il quale a sua volta viene accusato da Guma al-Gamaty, leader del partito del cambiamento e di estrazione laica, di non voler lottare contro il terrorismo ma di essere interessato solamente al potere.

La Libia attualmente è quindi un Paese con due governi e parlamenti distinti:1) il primo ha sede a Tobruk ed è ufficialmente riconosciuto dalla comunità internazionale, ma non dalla Corte suprema libica. Il parlamento è stato eletto il 25 giugno del 2014 e ha come primo ministro Abdullah al-Thani.2) Il Congresso nazionale, invece, si trova nella capitale della Libia, Tripoli, ed è in carica dall'8 agosto 2012. Ha deciso di non sciogliersi una volta scaduto il suo mandato a metà 2014. Omar al-Hasi è il suo primo ministro ed è sostenuto da diverse formazioni islamiste.

Dove si trova l’Isis in Libia? La presenza dello Stato islamico è pienamente accertata a Derna, nel nordest della Libia , dove da almeno ottobre controlla l’intera città, salvo ritirarsi nelle montagne circostanti negli ultimi giorni. L'Isis aveva preso il controllo della città di Sirte, dove il gruppo terroristico aveva conquistato alcuni edifici governativi e preso possesso dell’ospedale, la radio e la tv locale. L’Isis è influente in varie località del Paese, compresa Tripoli. L’attentato del 27 gennaio scorso all’Hotel Corinthia, uno dei luoghi più frequentati dagli stranieri a Tripoli, dove sono morte nove persone, è stato rivendicato proprio dagli uomini di al-Baghdadi, il califfo a capo dello Stato islamico.

Ma L’Isis in Libia non ha ancora un comando unitario e la sua organizzazione appare frammentata considerata anche la distanza fra le principali città del Paese che si trovano tutte sulla costa, da ovest, al confine con la Tunisia, ad est fino al confine con l’Egitto. 

Che cosa ha fatto la comunità internazionale finora? Dopo la caduta di Gheddafi, ci sono stati due importanti incontri. Il primo a settembre dell’anno scorso, a Madrid, sullo sviluppo e sulla stabilità della Libia, dove ha partecipato anche l’Italia. Il secondo e più significativo si è tenuto a Ginevra, ed è cominciato il 14 gennaio del 2015, durante il quale le Nazioni Unite hanno iniziato i colloqui per creare un governo di unità nazionale e mettere fine alle ostilità. Il governo di Tripoli ha però deciso di boicottare l'evento.

Cosa succede ora? L’Italia, come ha riferito il ministro della Difesa Pinotti, si è detta pronta a guidare un intervento internazionale in ambito Onu con una coalizione di Paesi europei e nordafricani. Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato che la situazione in Libia è fuori controllo, ma ha anche detto che questo non è ancora il momento di intervenire militarmente e ha rilanciato l'opzione dei colloqui diplomatici, chiarendo che la comunità internazionale ha tutti gli strumenti per intervenire.

Come dicevamo, in risposta alla decapitazione di 21 cristiani copti di nazionalità egiziana, l'Egitto, insieme alle truppe libiche fedeli al parlamento di Tobruk, hanno compiuto una serie di raid aerei sulla città di Derna, controllata dall'Isis, uccidendo tra i 40 e i 50 miliziani dello Stato islamico.Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, inoltre, insieme al presidente francese Francois Hollande, ha chiesto al consiglio di sicurezza Onu di approvare nuove misure contro l'Isis.

Nel frattempo l’Italia muove le sue navi da guerra. Direzione Libia. Per evitare di trovarsi a rimorchio della Francia di Francois Hollande e, soprattutto, per contrastare il “patto dei barconi” stabilito fra le fazioni libiche affiliate allo Stato islamico dei Abu Bakr al-Baghdadi e le organizzazioni di trafficanti di esseri umani. Un patto da milioni di euro, sulla pelle di una umanità sofferente. Per fermare la “jihad dei barconi”, l’Italia non può attendere i tempi biblici delle Nazioni Unite.

Deve mettere in campo mezzi e uomini che diano conto della richiesta di Roma di essere, come in Libano, alla guida di una azione di peacekeeping o peace enforcing nel Paese nordafricano. Da La Spezia qualche giorno fa è salpata la nave San Giorgio, a bordo della quale vi sono gli uomini dei reparti speciali della Marina, i cursori. Addestramento, è la versione ufficiosa. Ma a taccuini chiusi e microfoni spenti, fonti bene informate dicono all’Huffington Post che “occorre essere pronti a ogni evenienza, visto che le minacce reiterati dall’Isis contro il nostro Paese sono tutt’altro che propagandistiche”. Il pericolo esiste. Ed è crescente.

Nonostante quindi l'opzione militare contro la Libia sia stata finora scartata dal governo, sembra essere comunque pronto un "piano b", qualora la diplomazia non riesca a salvaguardare gli interessi italiani. Intanto la Marina Militare sta intensificando le manovre nel Mediterraneo tanto che con il ritorno dell'esercitazione "Mare Aperto" nelle acque del Tirreno e dello Ionio saranno dispiegate buona parte delle unità disponibili.

L’Italia «è un potenziale obiettivo» dei terroristi di matrice islamica, perché è "il simbolo» della cristianità: c’è dunque «un rischio crescente di attacchi» per il nostro paese, che deve fare i conti non solo con foreign fighters e lupi solitari ma anche con una «nuova generazione di jihadisti», i giovanissimi homegrown che si radicalizzano sul web, e con le donne.

In base ad alcune indiscrezioni riportate dal sito Debka, sembra che il presidente Abdel Fattah al Sisi voglia lanciare una doppia offensiva di terra dopo quella di febbraio contro il Daesh (la milizia Isis) a Derna, ma questa volta su vasta scala. La prima avverrà nella Penisola del Sinai e la seconda ancora nella città libica. È stato proprio il risultato dell’incursione dello scorso mese, in cui il contingente di commandos misti delle unità 777 e 999 catturò 55 miliziani e ne uccise oltre un centinaio, a porre le basi per l’offensiva.

I prigionieri hanno rivelato informazioni utili sulla forza presente nella città, sulle armi ed equipaggiamento di cui dispone e sulla sua reale capacità operativa. Inoltre, grazie alle immagini satellitari fornite dagli alleati internazionali è stato possibile rilevare gli spostamenti dei guerriglieri. Ciò ha permesso alle autorità egiziane di costruire uno “scenario” su cui pianificare l’offensiva. Peraltro, i rinforzi di Boko Haram all’Isis nella città non ci sono più.

Hanno lasciato la zona per tornare in Nigeria dopo aver fatto rifornimento di armi e munizioni. Derna, infatti, è sempre stata per loro una specie di “magazzino” da cui attingere all’occorrenza. Non c’è interesse a rimanervi, in quanto è necessario tornare a dare manforte ai compagni pressati pesantemente dall’esercito chadiano.

E’ molto probabile che prevedendo una grossa offensiva egiziana gli uomini dell'Isis che occupavano da tempo la città di Derna, in Cirenaica, l'avrebbero abbandonata improvvisamente ritirandosi in località imprecisate. Le fonti locali che ne parlano non sono in grado di spiegare il motivo di questi movimenti.

Molti miliziani dell'Isis, a bordo di automezzi che si sono spostati quasi contemporaneamente, hanno lasciato Derna, in Libia, dirigendosi verso la vicina regione montagnosa di Ras Helal. Lo riferisce il sito Alarabya.net, che cita proprie fonti locali. L'abbandono di Derna è confermato dal fatto che la totalità degli edifici che sino a poche ore fa erano occupati da miliziani ora sono completamente vuoti. Resta da capire cosa possa avere determinato la decisione dell'Isis di lasciare la città, la cui conquista era stata celebrata come il primo passo verso quella dell'intera Libia. La possibile motivazione principale potrebbe essere quella che, lasciando Derna e gli edifici che avevano occupato, i miliziani stiano cercando di sfuggire ai raid aerei che, per giorni, hanno martellato le loro posizioni. Alcuni testimoni hanno riferito che sono spariti dai molti edifici che esponevano i vessilli neri del califfato.

Concludendo, pertanto si può ben affermare che il momento è quello propizio affinchè grazie al pattugliamento delle coste libiche con le unità militari italiane si possa mettere fine alla zona vietata alla pesca e ristabilire il limite di 12 miglia delle acque libiche consentendo finalmente a tutti (senza privilegi) di ritornare a pescare in acque “storicamente” battute dai pescherecci delle marinerie siciliane.

Francesco Mezzapelle

03-03-2015 18,30

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