Il presidente del Consiglio, Mario Draghi, ieri ha incontrato a Palazzo Chigi il nuovo primo ministro del Governo di Unità Nazionale della Libia, Abdelhamid Dbeibah. Per Draghi si è trattato del secondo incontro con Dbeibah; il presidente del Consiglio aveva già visto il nuovo premier libico a Tripoli lo scorso 6 aprile durante la sua prima visita all'estero in qualità di premier.
“La collaborazione tra il governo del primo ministro Dbeibah e l'Italia continua a essere sempre più fertile e viva. L'Italia rimane a fianco della Libia e la sostiene in questa transizione complessa” –ha detto Draghi nella dichiarazione congiunta con il premier libico al termine della visita.
Draghi e Dbeibah hanno parlato di collaborazione su energie rinnovabili, di collaborazione nella lotta al Covid (l'Italia si impegnerà nella costruzione di ospedali in Libia e nell'invio di personale sanitario, oltre a ricevere decine di bambini malati di cancro), di controllo delle frontiere libiche, anche meridionali, di contrasto al traffico di esseri umani, di assistenza ai rifugiati, di corridoi umanitari, e lo sviluppo delle comunità rurali. "Il rilancio della collaborazione passa anche attraverso l'effettivo avvio di alcuni progetti infrastrutturali. Penso in particolare alla realizzazione dell'autostrada costiera, che ha anche un valore simbolico, e al ripristino delle infrastrutture aeroportuali per la riattivazione dei collegamenti aerei, non appena gli standard di sicurezza saranno soddisfatti", ha detto Draghi.
"L'Italia può giocare un ruolo primario nell'incoraggiare gli investimenti in Libia, le aziende italiane sono le più importanti e hanno una ricca esperienza e faremo di tutto per eliminare ogni ostacolo" nei loro confronti. Lo ha ribadito il premier libico al termine dell'incontro con il presidente Draghi, dopo il business forum di ieri mattina alla Farnesina. Mario Draghi e Abdul Hamid Dbeibah hanno sottolineato: “Siamo tornati alle ottime relazioni bilaterali" e "vorremmo riattivare tutti i memorandum di intesa, tutti gli accordi e aprire orizzonti per incrementare lo scambio commerciale con l'Italia”.
Dai colloqui fra i due premier nessun accenno sembra esser stato fatto al tema della pesca e sulla questione degli areali di pesca in acque internazionali davanti la Libia, quegli areali che proprio ai primi di maggio videro motovedette libiche (proprio fra quelle donate dall’Italia qualche anno fa per il contrasto dell’immigrazione clandestina e che, secondo le notizie, ricevono manutenzione in un cantiere navale di Riposto, in provincia di Catania) aggredire a colpi di mitragliatrici due motopesca di Mazara del Vallo, il 3 maggio il “Michele Giacalone”, ed il 6 maggio il motopesca “Aliseo” (in foto copertina durante l'inseguimento della motovedetta libica "Obarì") vedi con il ferimento del suo comandante Giuseppe Giacalone (sulla vicenda la Procura di Roma ha aperto un’inchiesta); in entrambi i casi soltanto il provvidenziale intervento di unità militari italiane evitò il sequestro dei pescherecci.
Ad aprile, come del resto ogni anno, si è aperta la stagione di pesca del gambero rosso. La zona di pesca dove “storicamente” (cioè da quando alla fine dalla metà degli anni ’90 è iniziata la corsa al cosiddetto “oro rosso”) i pescatori di Mazara del Vallo effettuato questo tipo di pesca si trova nelle acque internazionali antistanti la Libia che però nel 2005 (quando ancora era sotto la guida del colonnello Gheddafi) ha dichiarato unilateralmente (senza ricevere consenso formale da un’autorità internazionale) la Zona Economica Esclusiva che si estende 62 miglia in acque internazionali oltre le 12 territoriali.
Da quel momento la “guerra del pesce” che negli anni prima aveva acuto come scenario il cosiddetto “Mammellone” (zona di ripopolamento ittica davanti la Tunisia e riconosciuta dall’Italia nel 1979) si è spostata in quell’areale internazionale davanti la Libia con il susseguirsi di sequestri, talvolta drammatici; vedi l’ultimo relativo ai 18 marinai (otto italiani, 6 tunisini, 2 indonesiani e 2 senegalesi) e dei due motopesca “Medinea” e Antartide” sequestrati, a 35 miglia dalle coste libiche, dal 1 settembre al 17 dicembre scorso e costretti a subire violenza nei quattro carceri ove spostati nel corso del lungo sequestro prima della liberazione avvenuta “grazie” ad una visita ufficiale pretesa dal generale Kalifa Haftar per un suo formale riconoscimento dopo che nei giorni antecedenti al sequestro il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio aveva fatto visita al Governo di Tripoli senza passare da Bengasi.
Nei giorni scorsi i pescatori di Mazara del Vallo hanno manifestato la volontà di tornare a pescare nelle acque internazionali davanti la Libia (visto a che a seguito delle recenti aggressioni sono costrette, dopo numerose intimazioni dalle Autorità italiane, ad allontanarsi da quell’area internazionale) chiedendo al Governo italiano la cosiddetta “Vi.Pe” (vigilanza pesca) che fino a qualche anno fa era attiva, attraverso un’unità militare italiana, in quel tratto di mare. Alcuni giorni fa, a seguito dell’aggressione del motopesca “Aliseo”, nel corso di un incontro a Roma lo stesso ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha rassicurato il sindaco di Mazara del Vallo, Salvatore Quinci, sulla “…volontà di mantenere una forte presenza della Marina Militare nel Mar Mediterraneo a tutela degli interessi nazionali”. Ci siamo chiesti -ovviamente- se la pesca siciliana sia considerata un “interesse nazionale”.
Chissà che fra i memorandum di intesa da riattivare fra Italia e Libia (Turchia permettendo) non via sia anche quello sulla cooperazione fra i due Paesi negli areali di pesca della ZEE che fu inserito nell’Accordo Italo- Libico stipulato nel 2008 da Berlusconi con Gheddafi?
Francesco Mezzapelle