È una giornata soleggiata oggi 1° settembre 2022 in Sicilia Occidentale. Quello che Mazara del Vallo si prepara a vivere non è un giorno come gli altri che trascorrono in città, è una giornata parlare che riporta alla memoria due vicende drammatiche hanno segnato nell'animo la Città.
Da 18 anni questo giorno viene vissuto dai mazaresi come un giorno triste, difficile, perché ricorre l’anniversario del rapimento della piccola Denise Pipitone. Quel fatto di cronaca del 2004 è entrato nella storia della città, una pagina oscura, mai chiarita, che ha trascinato nell’angoscia, senza mai tirarli fuori, i genitori della piccola ma anche chi con passione ha seguito questa scomparsa rimasta irrisolta. “Non molliamo”. Così si conclude un messaggio lanciato su facebook da Piera Maggio e Piero Pulizzi all’indomani della decisione del gip di Marsala di archiviare l'indagine sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone sequestrata, e sparita nel nulla, davanti la sua casa, in via Domenico La Bruna, a Mazara del Vallo, l'1 settembre 2004.
Dopo poche ore la notizia dell’archiviazione Piera Maggio aveva così scritto: “Chi ha rapito Denise deve sapere che non finirà mai, e che presto o tardi scopriremo la verità. Denise, da 17 anni, viene rapita ogni giorno”. Successivamente è arrivato il messaggio firmato anche dal marito e padre naturale di Denise nel quale si sono spiegate le ragioni dell’opposizione che era stata presenta alla richiesta di archiviazione delle indagini da parte della Procura.
La primavera dello scorso erano stati iscritti nel registro degli indagati Anna Corona (ex moglie del padre naturale della bambina), Giuseppe Della Chiave (suo zio, Battista Della Chiave, morto da alcuni anni, avrebbe detto di aver visto suo nipote su uno scooter con la piccola Denise in braccio), e due coniugi romani, Paolo Erba e Antonella Allegrini che avevano prima detto di essere a conoscenza di particolari sulla scomparsa della bimba e poi di essersi inventati tutto. Dalla Procura però non erano emersi elementi sufficienti a sostenere un'accusa in giudizio, è quanto ha sostenuto il gip archiviando il caso.
Altra questione è quella della Commissione d’inchiesta parlamentare sul caso Denise il cui iter per l’istituzione si è dimostrato un po’ lungo e complicato del previsto: dei lavori della stessa Commissione, prima dello scioglimento circa un mese fa del Parlamento, non vi è stata traccia.
Altra vicenda, più recente, legata alla data del 1° settembre è quella del sequestro di due anni fa di 18 pescatori della marineria mazarese in Libia, a Bengasi. Furono liberati il 17 dicembre dopo una visita lampo, accolta in pompa magna e con tanto di telecamere, al generale Khalifa Haftar, il rais della Cirenaica, dell'allora premier Giuseppe Conte e del ministro degli Esteri Luigi Di Maio. Un lungo sequestro che ha visto le famiglie, le madri, le mogli e le figlie dei pescatori, di diversa nazionalità e religione, unite nella protesta condivisa e portata avanti grazie alle istituzioni locali, alla Diocesi e ai Sindacati. Attraverso le prime pagine del libro "Mazara Rapita", curato dal sottoscritto e dal collega Max Firreri ed edito da Uila Pesca, vi raccontiamo quelle drammatiche ore del sequestro dei pescatori e dei pescherecci.
"…Mazara del Vallo è una città abituata a convivere con l’angoscia e le paure. Una follia verrebbe da dire, se non si conoscesse la storia della marineria e i suoi rapporti difficili con le autorità dei Paesi magrebini che si affacciano sul Mediterraneo.
Il 1° settembre 2020 è, dunque, un giorno diverso. Lo si respira nell’aria. Se in città si ricorda la scomparsa della piccola Denise, a circa 35 miglia a nord dalla costa libica, in pieno mare Mediterraneo, succede un fatto grave. È sera quando alcuni miliziani a bordo di una motovedetta appartenente all’esercito del generale Khalifa Haftar sequestrano i pescherecci Medinea e Antartide e 18 pescatori della marineria di Mazara del Vallo. I motopesca erano partiti dal porto nuovo della città pochi giorni prima, dopo la sosta in banchina per il Ferragosto e per la festa di San Vito (patrono della città e dei pescatori).
Da qualche giorno la motovedetta libica armata di mitragliette, con a bordo militari in divisa scura e occhiali neri a specchio, si aggira in maniera apparentemente disinteressata in quella zona di mare. «Se hanno intenzione di sequestrare qualche peschereccio lo avrebbero già fatto fin dal loro arrivo», balena nella mente dei Comandanti dei due motopesca. L’aria si avverte che è quella di allerta: bisogna stare attenti che, se viene notato un avvicinamento minaccioso, si devono salpare subito le reti.
Lo scenario comincia a cambiare dopo le ore 20. Il sole è già tramontato. Probabilmente tutto inizia con un ordine via radio arrivato da terra alla motovedetta libica. Il mezzo militare libico è una di quelli che – ironia della sorte – il Governo italiano ha donato alla Libia. Con una manovra insolita e apparentemente innocua raggiunge il punto più vicino a tutti i pescherecci di Mazara del Vallo che in quel momento sono nella zona. Il mezzo libico a velocità raggiunge dapprima il motopesca Natalino (iscritto al Registro navale di Pozzallo ma con un equipaggio interamente mazarese, ndr).
I militari libici sparano i primi colpi di mitra in aria, minacciano di sparare ad altezza d’uomo e intimano l’alt. Dal Natalino viene fatto trasbordare sul gommone il primo ufficiale Bernardo Salvo: il Comandante sta male e chiede a Salvo di scendere al posto suo. La motovedetta si dirige poi verso altri due motopesca, Antartide e Medinea. Gli equipaggi a bordo sono formati da dieci e sei persone. Sul mezzo libico vengono costretti a salire i Comandanti Michele Trinca e Pietro Marrone. La caccia viene completata con l’abbordaggio del motopesca Anna Madre: sarà il giovane Giacomo Giacalone a lasciare l’equipaggio e a finire nelle mani dei libici.
I miliziani bloccano Piero Marrone, Michele Trinca, Giovanni Bonomo, Nuccio Giacalone, Vito Barracco, Fabio Giacalone, Giacomo Giacalone, Dino Salvo, Karoui Mohamed, Mathlouthi Habib, Ben Haddada M’hamed, Jemmali Farhat, Ben Thameur Ilysse, Ben Thameur Hedi (tunisini), Ibrahim Mohamed Sarr e Daffe Bavieux (senegalesi), Indra Gunawan e Moh Samsudin (indonesiani). I marittimi vengono accusati, anche se mai ufficialmente, di aver violato l’ampia fascia di mare che si estende 62 miglia in acque internazionali oltre le 12 territoriali, la cosiddetta ZEE (Zona Economica Esclusiva) istituita unilateralmente dalla Libia nel 2005.
La sorte dei 18 pescatori sembra segnata: dopo alcune poche ore di navigazione arrivano al porto di Bengasi e vengono costretti a ormeggiare i due pescherecci. Le stive refrigerate sono piene di gambero rosso pescato, a bordo tutto ciò che l’equipaggio ha portato con sé per la battuta di pesca. Il peschereccio, per chi pratica la pesca d’altura, è la seconda casa. Non c’è spazio per la mediazione tra i 18 pescatori e i miliziani. Non servono le parole e neanche gli sguardi preoccupati per dare spazio al cuore.
Lo sbaglio dei mazaresi per i miliziani si paga col carcere. L’inizio dell’inferno è tracciato davanti ai 18 pescatori. L’ultimo loro sguardo all’indietro è verso i motopesca ormeggiati che i militari presidiano. I loro occhi davanti vedono posti sconosciuti tra angoscia e paura. È il tempo del buio e della detenzione…".
Francesco Mezzapelle