Mazara e i suoi “mille”. L’infezione corre e non si riesce a fermarla. Il Covid19 ha stretto d’assedio le gente di questa città, altrove, i numeri sono ben più alti ed il proverbio “mal comune mezzo gaudio ” in questo caso non funziona. La pandemia che stiamo vivendo non è molto diversa dal passato. La storia è un libro aperto. Negli anni ha seminato milioni di morti in tutto il mondo.
Raccontiamo. In Italia, anno di grazia 2020. Dalla Cina arrivano voci, poi la verità. L’infezione da virus c’è ed è notevole. Dallo scorso mese di marzo anche da noi non si vive più sereni perché siamo inseguiti da tetre ombre che cerchiamo di schiacciare con mascherine e vaccini. Ci si chiede quando finirà questa storia. E come. Nessuno è in grado di dirlo. Secondo gli esperti, dal punto di vista epidemiologico, la circolazione di un patogeno cessa o non fa più danni: a) se scompare per cause naturali o socio-sanitarie; b) quando non trova più ospiti suscettibili nella popolazione; c) se evolve geneticamente diventando innocuo o tollerabile; d) se il serbatoio o il vettore che lo trasmette per qualche motivo non sono più in grado di svolgere tale funzione.
Le pandemie in passato si accendevano, spegnevano, riaccendevano, eccetera, con il risultato demografico pessimo. Nell’età classica, le pestilenze si interrompevano perché la mortalità o la fuga riducevano la densità delle agglomerazioni umane, e/o perché la popolazione acquisiva naturalmente l’immunità di gregge che si ha “quando la copertura vaccinale della popolazione arriva al punto critico che impedisce la circolazione dell'agente infettivo”. In ogni caso le comunità ne uscivano devastate e spesso incapaci di riprendersi.La pestilenza che colpì Atene nel 430 a.C.
fu favorita dall’addensamento di 300mila ateniesi concentrati tra l’Acropoli, le Lunghe Mura e il Pireo. Quale che fosse l’agente, occorsero circa 100mila morti e circa cinque anni perché si arrestasse. Anche le epidemie di età romana più devastanti, da quella Antonina a quella di Cipriano, durarono per un certo periodo di tempo (dal 165 al 180 la prima, e dal 249 al 279 la seconda), fecero ognuna tra 5 e 8 milioni di morti. Alla loro estinzione concorsero sia lo spopolamento (decessi e fughe dalle città), sia la temporanea immunità di gregge.
Iniziava la fine dell’Impero Romano.
I medici antichi non sapevano che fare.. Su basi magico-intuitive forse si praticava da sempre il distanziamento sociale o fisico. Nel “Levitico (13,3)” (la Sacra Bibbia) Dio dice a Mosè e Aronne di isolare dai sani le persone con segni di impurità o malattia. In particolare “Il sacerdote esaminerà la piaga sulla pelle del corpo; se il pelo della piaga è diventato bianco e la piaga appare depressa rispetto alla pelle del corpo, è piaga di lebbra; il sacerdote, dopo averlo esaminato, dichiarerà quell'uomo immondo”.
I medici credevano che le epidemie fossero trasmesse dall’aria, per cui era inutile prescrivere l’isolamento.La prima pandemia di peste, quella di Giustiniano, iniziava nel 541-2, in un contesto ecologico ed economico di crisi. Sarebbe stata portata dal ratto, un peste che uccise tra i 25 e i 100 milioni di individui, si spense in un paio di secoli per motivi demografici, per l’immunità di gregge e, forse, perché anche i ratti divennero resistenti alla malattia.La lebbra era largamente diffusa nel Medioevo e alla fine del XIII secolo in Europa si stima vi fossero quasi ventimila lebbrosari.
Era poco infettiva e cronica, ma suscitava ribrezzo e rifiuto. Nelle nostre latitudini probabilmente scomparve anche perché la ripresa economica e demografica favorì la circolazione della tubercolosi: sono due micobatteri ed è emerso che se un individuo entra in contatto col bacillo di Koch in teoria si immunizza contro quello di Hansen. E viceversa.
Nell’immaginario collettivo la pandemia spaventevole per antonomasia, più della Spagnola, è la Peste Nera del Trecento. L’impatto epidemiologico fu devastante: uccise in 5 anni quasi un quarto della popolazione europea sempre per il fatto che circolava nella forma polmonare. L’introduzione, nel 1377, della quarantena contro la peste da parte dei Veneziani era base della costatazione che la malattia aveva un tempo di incubazione e quindi bastava isolare le persone a rischio e stare a vedere.
La diffusione delle quarantene anche per controllare altre epidemie, scontava il fatto che funzionavano a seconda della biologia della malattia, ovvero quando la trasmissione era diretta (come il coronavirus) ma poco quando dipendeva da un vettore sconosciuto. In Nord America, nel Settecento, non funzionava contro la febbre gialla e, come fu nel caso di una micidiale epidemia a Filadelfia nel 1793, si doveva aspettare l’inverno perché il freddo uccidesse il vettore e così si interrompesse.
A partire da metà Ottocento le epidemie/pandemie cominciarono a essere controllate su basi conoscitive. Così terminarono in Europa le pandemie di colera, dopo la scoperta che il vibrione si trasmette con l’acqua contaminata e che serve costruire fognature e potabilizzare l’acqua.
L’arrivo dei vaccini consentì di farla finita con almeno due malattie spaventose: il micidiale vaiolo e la poliomielite (ormai presente solo in Afghanistan e Pakistan). Le pandemie di influenza oggi sono controllate dai vaccini, ma fino agli anni Cinquanta dipendevano da dinamiche evolutive tra ceppi virali in costante mutazione e ricombinazione: l’ipotesi più plausibile per la conclusione della Spagnola è che diminuirono per immunità di gregge i suscettibili e un ceppo meno aggressivo di H1N1 soppiantò quello micidiale, verosimilmente emerso negli ospedali militari francesi nell’agosto del 1918.
Possiamo ora immaginare con maggior cognizione come finirà la tragedia sanitaria in corso? No. Le misure non farmacologiche (distanziamento, mascherine, eccetera) contribuiscono, con costi sociali ed economici altissimi, a ridurre i danni sanitari, in attesa che vaccini e cure consentano un progressivo adattamento reciproco col parassita senza quasi più morti, o che l’immunità di gregge aiuti e che le pressioni selettive premino qualche variante di SARS CoV-2 meno patogena. Fino ad allora sarà frustrante. Si ha l’impressione che stiamo correndo senza sosta per restare sempre allo stesso posto. La scienza è l’unica risorsa di cui disponiamo per correre più veloci e per metter fine alla pandemia. Ma servirà tempo. E nessuno sa quanto.
Salvatore Giacalone