“Una punta di Sal”. Si stava meglio quando si stava peggio?

La Festa di Natale induce a diverse riflessioni attraverso un confronto fra passato e presente...

Redazione Prima Pagina Mazara
Redazione Prima Pagina Mazara
25 Dicembre 2022 12:01
“Una punta di Sal”. Si stava meglio quando si stava peggio?

Non è un bel Natale. Sicuramente migliore di quello dello scorso anno ma siamo ancora lontani dalla leggerezza e dalla felicità di ritrovarsi con parenti e amici vicini e lontani. Si mira, ancora oggi, alla copertura vaccinale come ancora di salvezza. Non ci sono altre strade. Potrebbero essere 85 i Paesi poveri che non godranno di una vera copertura vaccinale dal covid-19 prima del 2023, e per Paesi come Cina e India si prevede che la copertura vaccinale potrà richiedere tantissimo tempo. Per questo è urgente che tecnologie e conoscenze vengano messe a disposizione di tutti per consentire una produzione capillare a livello globale. Si tratta infatti di una questione che investe in pieno il diritto alla salute, la trasparenza, l’equità, e il modo in cui viene speso il denaro dei contribuenti e il rapporto fra pubblico e privato. La storia va così.

I nostri antenati, quando vivevano come cacciatori-raccoglitori, si adattarono a ragionare assumendo che in ogni situazione in cui qualcuno ci guadagna, qualcun altro ci perde. Da anni, ormai, si possono giocare innumerevoli giochi economici a somma non zero, dove tutti coloro che partecipano ci guadagnano. Cosa che si evince dall'incremento spaventoso della ricchezza in tutto il mondo negli ultimi 250 anni. Purtroppo, se non si capiscono alcuni aspetti del moderno, si rimane fermi al pensiero a somma zero, credendo che il successo economico, per esempio far soldi fabbricando vaccini e vendendo, sia possibile solo a danno di altre persone, che non avrebbero i soldi per comprarseli. Non è così. Perché i soldi per comprarli vengono fuori, come per magia, dall’Ente pubblico e dal privato, in quest’ultimo caso con grandi sacrifici.

Ma oggi è Natale, una festa che appartiene a varie culture, la cui essenza sta, giorno dopo giorno (un po’ come per le altre festività), sempre più scemando. Risale al IV secolo d.C., le origini non sono certe ma possiamo ipotizzare che la data venne fissata convenzionalmente al 25 dicembre come risultato dell’unione di più culture, tra cui quella ebraica. Negli anni la festa ha perso la sua essenza cristiana ed ha assunto i caratteri di una festività legata al denaro e al consumo.

Un esempio lampante del Natale consumistico è proprio la figura di Babbo Natale, la quale proviene da quella di San Nicola. Il Babbo Natale come lo conosciamo, deriva da una pubblicità della Coca-Cola del 1931 che lo raffigura come un uomo grassottello, sorridente, intento a dare regali ai bambini ed interamente vestito di rosso. Questo fu uno dei primi passi che portarono al distacco dal Natale religioso per approdare a quello consumistico odierno. Andando indietro, ad esempio, ai tempi dei nostri nonni, troviamo un’abissale differenza rispetto ad oggi: questa festa era sicuramente più sentita sia in ambito religioso che in ambito affettivo; ci si riuniva per mangiare insieme e i regali non erano il fulcro della festa che si basava difatti sulla condivisione di momenti e di preghiera. Se nell’Italia agricola e preindustriale era il pane l’alimento principale della maggioranza della popolazione, nel corso degli anni ‘50 il cibo identificativo dell’intero Paese diventa invece la pasta: agnolotti, bucatini, maccheroni, penne, spaghetti, purché sia pasta, condita con salsa di pomodoro che per il pranzo della domenica diventa addirittura ragù.

È del 1954 la scena gastronomica più famosa del cinema italiano: Alberto Sordi che non riesce a trattenersi di fronte a un piatto di spaghetti in “Un americano a Roma”. Tornando ai giorni nostri, molte tradizioni sono ancora alla base nonostante siano offuscate dal consumismo. Noi non notiamo alcun distacco o diversità, mentre gente con un bagaglio di vita più ampio del nostro, rimpiange sicuramente i vecchi tempi. Un proverbio molto comune ci dice che “si stava meglio quando si stava peggio” intendendo con questo che le novità non sempre portano ad un miglioramento.

Più semplicemente credo che sia un rimpianto per i tempi passati. Rimpianto inteso come nostalgia, come qualcosa che ci è sfuggito e scivolato via nel tempo. C’erano vere relazioni sociali, rispetto per gli insegnanti, aria pulita, un benessere diffuso, un debito pubblico basso, poco traffico e stress assente, famiglie unite, etc. Eravamo liberi e più moderni di oggi e soprattutto senza limitazioni nei rapporti con l’ambiente. L’incuria e l’abbandono del territorio non sapevamo nemmeno cosa fossero, il mostro della burocrazia repressiva lo potevamo immaginare solamente attraverso orribili incubi notturni.

E quindi ripeto “si stava meglio quando si stava peggio”? Ma questa volta con il punto interrogativo... Buon Natale a tutti!

Salvatore Giacalone 

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